Questo articolo è stato scritto da Maddalena Bianchetti, ex studentessa del Master in Comunicazione Digitale, Mobile e Social all’Università degli Studi di Parma, e fa parte di una serie di post dedicati alla body positivity.

Mi occupo di comunicazione per il sociale, che per me significa saper tradurre in modo accessibile contenuti e visioni inclusive, potenzianti e partecipative. Gli anni di lavoro nel terzo settore mi hanno portato ad acquisire competenze trasversali, supportate da un approccio pragmatico e flessibile. Oltre a lavorare faccio cose e vedo gente. Su tutto: amo pattinare e andare in montagna.

Maddalena Bianchetti

Quando parliamo di body positivity quello a cui ci riferiamo è un movimento che combatte il body shaming e cerca, attraverso l’inclusività delle sue campagne, di eliminare i pregiudizi e le discriminazioni a cui vengono sottoposti i corpi delle persone. Non si tratta quindi solo di self-love, sicurezza, accettazione del proprio corpo e autostima, ma di una vera e propria rivoluzione culturale e sociale.

Da quando esistono i beauty standards grazie ai quali identificare un corpo come “bello” o “brutto”? Che cos’è la body positive? Come la body positivity viene affrontata sui social network? Per riuscire ad avere una visione completa del movimento body positive è utile tracciare un percorso nel mondo moderno, toccando le tappe di quegli avvenimenti che hanno portato alla creazione di standard di bellezza contemporanei e analizzare l’influenza che i mezzi di comunicazione hanno avuto per arrivare alla pratica di esibizione del sé tipica dei social media.

Excursus sui canoni estetici e la loro raffigurazione 

I canoni di bellezza, che definiscono ciò per che per una cultura o una società viene percepito come bello, sono per loro natura mutevoli perché fortemente influenzati dal contesto sociale in cui si sviluppano. Tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90 gli stereotipi vengono rafforzati attraverso la rappresentazione mediatica. Nelle serie TV, spesso nelle sitcom, più il peso è elevato più è probabile che si incorra in giudizi negativi e battute circa il corpo dell’attrice o dell’attore, con aggiunta di reazioni e risate da parte del pubblico – per esempio Monica in F.r.i.e.n.d.s. – sancendo un’implicita approvazione sociale dello schermo verso persone che non aderiscono a standard corporei tradizionali. Questa rappresentazione del corpo rafforza e rende socialmente accettato lo scherno verso soggetti sovrappeso, e genera il cosiddetto fat shaming.

Ma i media non sono per forza uno strumento negativo. Per esempio l’avvento del World Wide Web, all’inizio degli anni 90, permette l’apertura di nuovi spazi di discussione che consentono una libertà di confronto senza filtri. Così nasce la fatosphere, uno spazio virtuale fatto di blog e siti web in cui è possibile proporre una visione e una narrativa proprie permettendo la creazione di community attraverso la condivisione di esperienze.

Immagine corporea e social 

La body image è la visione del proprio corpo basata sulla percezione altrui, è elastica e largamente influenzata dal confronto con il mondo esterno. I fattori che maggiormente segnano la percezione dell’immagine corporea sono i media, tradizionali e non, perché stimolano la comparazione del proprio corpo con quelli rappresentati su questi canali.

Uno degli strumenti che più spesso viene utilizzato sui social media per l’auto narrazione è il selfie; proclamata parola del 2013 dall’Oxford Dictionary, viene definita come: “A photograph that one has taken of oneself, typically one taken with a smartphone or webcam and shared via social media”. Questo meccanismo di auto-vetrinizzazione raggiunge la sua massima espressione su Instagram dove, ogni utente, espone una collezione di differenti fotografie e selfie, in cui attendere l’approvazione tramite like e commenti. Ma come abbiamo precedentemente affermato, il web e i social non sono solo luoghi frivoli di mercificazione del sé: è possibile incontrare alcuni movimenti che tentano di collegare le nuove pratiche diffuse online al concetto di empowerment.

Alcuni soggetti condividono la propria immagine con lo scopo di dimostrare che la cultura del guardare e dell’essere guardati può esistere al di fuori del concetto di oggettivazione. Postare selfie, che differiscono dai canoni di bellezza, crea un contesto di controcultura che insegna a individuare una nuova percezione estetica, creando un contrasto visivo in un contesto dominato da immagini aderenti a rigidi canoni estetici. 

Body Positivism: breve storia e significati

Ma che cos’è e quando nasce la body positive? Le sue origini si trovano negli anni ‘60, più precisamente all’interno del movimento di fat acceptance. Negli anni ‘90, con la terza ondata femminista, questi temi guadagnano importanza affrontando discorsi legati alla politica dei corpi e alla discriminazione di quelli non conformi. Nel 1996 Connie Sobczak e Elizabeth Scott fondano The Bodypositivecon lo scopo di costruire una comunità di supporto per aiutare tutte quelle persone, che almeno una volta, si sono sentite limitate dalla tipologia di corpo-messaggio nel quale le persone non conformi ai canoni di bellezza occidentali, vengono etichettate come sbagliate.

Attraverso la rete questo movimento cresce diffondendo il principio per cui tutti i tipi di corpo sono meritevoli di rispetto e hanno valore in quanto tali, indipendentemente da ciò che sentenziano le norme sociali e i beauty standards. Secondo questo movimento nessuna persona dovrebbe sentirsi inadeguata a causa del proprio corpo e del suo aspetto estetico, del colore della pelle, dei ‘difetti’ o delle disabilità. 

Later Hater ” illustrazione di Chiara Meloni”

Il movimento body positive è nato come una rivendicazione ma si è evoluto ed ha coinvolto l’aspetto sociale perché i corpi vanno trattati in modo sistemico: lo scopo del body positivity non è far accettare all’individuo il proprio corpo, ma è pretendere che il sistema cambi riconoscendo che il valore della persona non sia determinato dalla sua aderenza o meno ad un certo canone estetico. Il punto centrale di questo movimento è trattare lo stigma del body shaming come una questione culturale e quindi politica, perché si ha a che fare con il controllo sui corpi, che porta le persone non conformi a non poter attuare delle scelte di vita libere.