The Social Dilemma. Il documentario che tutti siamo costretti a guardare (e tre modeste proposte di Ethical Design)
Dicono che “The Social Dilemma” sia il documentario che tutti dobbiamo guardare. Gli ex dipendenti della Silicon Valley raccontano, in maniera drammatica, i motivi che li hanno indotti a lasciare le società dove rivestivano ruoli primari. Eh sì perchè, a detta del regista Jeff Orlowski, Facebook, Pinterest, Instagram, Youtube, TikTok sono tutte aziende che “creano dipendenza e violano la privacy delle persone”. Aziende che ci trattano come “cavie da laboratorio” e che ci hanno ridotto alla stregua di “zombie” che camminano.
A essere messi sotto accusa non sono tanto i social in sé, quanto il modo con cui questi giganti del web trattano i dati che gli utenti cedono loro.
Il meccanismo è questo: l’algoritmo coinvolge l’utente proponendogli contenuti che gli interessano; la nostra interazione con gli stessi permette di addestrare con maggiore precisione l’algoritmo che, a quel punto, costruisce una narrazione che ci impedirà di uscire dal social in questione. E intanto il social network ne approfitta per venderci pubblicità.
Avete presente, ad esempio, i tre puntini? O le notifiche push? Sono tutti stratagemmi per aumentare la nostra permanenza sul social trasformandoci in facili prede per inserzionisti e propagandisti.
The Social Dilemma ci (ri)sbatte in faccia questi e altri meccanismi con brutalità e anche con una certa teatralità: ma niente che non sapessimo già, con la differenza che a parlarne sono persone autorevoli, gente del settore.
Ci sono, tuttavia, due punti deboli del docu-film, che riteniamo importante evidenziare.
Il primo punto debole: è un documentario divulgativo.
Che “The Social Dilemma” è un documentario divulgativo, che necessita di mantenere l’attenzione dell’utente, semplificando, non poco, l’argomento. Inoltre, è diffuso da una piattaforma che, al pari degli altri social, usa i dati per ottenere la nostra attenzione e per proporci quindi contenuti a noi affini. Per questo, “The Social Dilemma” non è tanto il documentario che tutti dobbiamo guardare, quanto più il documentario che tutti siamo costretti a guardare. Il doc, che fa luce sull’uso sbagliato degli algoritmi, si serve degli stessi per fare in modo che tutti lo guardino: non a caso Netflix lo colloca tra i Top Ten da guardare. Non solo: usa le stesse tecniche di persuasione per fare in modo che chi lo guarda rimanga attaccato allo schermo e ne resti così colpito e terrorizzato da parlarne praticamente a tutti. Lo sapevi già che le emozioni negative sono alla base della viralità di un contenuto?
Che dire? La cosa si commenta da sola.
Il secondo punto debole: manca una soluzione.
Ammesso che non si possa più fare a meno dei social e ammesso che certe dinamiche siano ormai note a tutti, il documentario lascia lo spettatore con una domanda principale, senza dare una vera risposta: qual è la maniera più intelligente di usare i social? Come posso io, ventenne, costruirmi un'identità sana e forte capace di non soccombere davanti ad un teatrino sociale in cui tutte le scelte sono pilotate? Come faccio a discernere concretamente tra vita privata e vita pubblica, o di cosa abbiamo realmente bisogno? Mi serve davvero quella borsetta suggerita da Facebook - il mostro che prova a modificare le mie preferenze di acquisto e le sane abitudini della mia vita - o no? Quali sono i valori portanti della mia vita? Perchè mi fa male tutto quello che mi tocca? Secondo il documentario, le nostre generazioni sono deboli, incapaci di scegliere autonomamente. Occorre studiare per costruirsi una cultura solida ed essere persone di carattere: dobbiamo ricominciare a scegliere. Scegliere cosa ci piace, cosa vedere e cosa comprare. Occorre ritagliarsi del tempo per fermarsi a pensare, selezionare e scartare cosa non ci interessa. Tutte queste sono le domande e riflessioni generate dal documentario.
La realtà è, tuttavia, più concreta di quanto divulgato da Netflix: i protagonisti del documentario stanno proponendo vere soluzioni per risolvere questo Dilemma.
Cosa propongono le persone dietro “The Social Dilemma”?
Gli ex dipendenti delle aziende citate, infatti, hanno messo in piedi un’associazione , il “Center Of Human Technology”, allo scopo di guidare le persone a progetti di design più rispettosi della natura umana e capaci di aggiungere valore alla vita delle persone.
La loro è una proposta a 360°, sia per gli utenti finali che per i progettisti, mirata a creare un mondo in cui la tecnologia sia più umana. Propongono un radicale cambiamento di mentalità e, soprattutto, un cambiamento di obiettivi: il successo di un prodotto non può essere dato dalla misurazione dei soli click e dell’engagement, ma da metriche più “umane” quali salute, benessere, divertimento, produttività e creatività. È importante chiedersi quali vantaggi porterai alla società con il tuo prodotto o servizio e quali saranno le conseguenze delle scelte progettuali che prenderai. Quindi chiediti: come può il mio prodotto rafforzare i valori umani (di cui sopra)? In che modo il mio prodotto può aiutare le persone a superare i maggiori problemi sociali (es. disuguaglianza, polarizzazione)? Che tipo di cambiamenti di atteggiamento o di comportamento potrebbe creare questo prodotto? Questi cambiamenti sono in linea con i miei valori fondamentali?
In questo senso sono molto utili le linee guida messe a disposizione dall'associazione stessa per costruire un prodotto o servizio etico e umano.
Cosa si potrebbe fare nel social design quotidiano per salvarci?
Anche noi vogliamo proporre delle soluzioni, sia piccole che a spettro un po’ più ampio.
1. Una tassa sull’attention budget
Per prima cosa occorrerebbe una regolamentazione più stringente che riguardi i servizi digitali e il modo con cui le aziende pagano le tasse. Non solo tasse sui ricavi, ma tasse sull'attention budget.
"Oggi la merce venduta non è più l'informazione ma l'attenzione".
Gli OTT impattano sull'ecosistema economico mondiale, sottraendo attention budget grazie a servizi psicoattivanti, disegnati sfruttando i bias cognitivi. Per tutto il time e attention budget sottratto, inoltre, spesso non pagano le tasse nei paesi di residenza degli utenti. La regola potrebbe essere questa: più ore gli utenti navigano sul tuo servizio/social, più l’azienda deve pagare.
2. Proteggere i più giovani, per davvero.
Bisognerebbe, inoltre, limitare l'età di accesso ai social, con obbligo di verifica dell'età sul servizio con vincoli variabili sotto i 12, sotto i 16 e sotto i 18. Siamo d'accordo che sarebbe un vincolo aggirabile ma, ad esempio, anche se il limite del rispetto del copyright in rete è facilmente aggirabile, questo non significa che si possa liberalizzare la pirateria.
3. Mettere i dark pattern fuori legge.
Occorre anche regolamentare le pratiche di design più estreme - i dark pattern - che portano l'attention budget a estendersi oltremisura, come ad esempio l'uso delle notifiche push che, di per sé, non sono un dark pattern ma se la notifica usa titoli da clickbait allora lo diventano.
Sarebbe buona cosa inserire un limite al numero di notifiche al giorno inviabili ad un utente da parte di un'app: questo perchè la notifica genera una iniezione di dopamina, un neurotrasmettitore che genera una risposta emotiva e crea quindi assuefazione. Di fatto può essere considerata una Drug by Design. Limitare le notifiche deve essere uno dei vincoli su cui il garante della privacy deve poter vigilare. Il secondo vantaggio nella limitazione delle notifiche sarebbe favorire la concorrenza e il libero mercato.
Dobbiamo uscire dal monopolio dell'attention budget degli OTT.
Gli spunti su cui riflettere sono tanti.
Sicuramente, né “The Social Dilemma”, né noi possiamo offrire una soluzione definitiva e universalmente accettata a questo problema, ma forse la lezione più importante è proprio questa: lasciare che sia ognuno di noi a trovare la sua personale maniera per convivere al meglio con i social, magari ascoltando il parere di noi progettisti.
Come gestire correttamente i dubbi del cliente? Bentornate FAQ!
Parliamo di come progettare una landing page che vende. È qui dove si gioca tutta la vostra strategia: le scelte che vengono fatte nel progettare questa pagina possono portare alla vittoria o all’uscita dell’utente (che si suppone non sia la vittoria. In caso contrario: vittoria!).
Spoiler alert: le regole sono le medesime di quelle della DEM, ma dovete tenere conto del fattore “dubbi”.
Vediamo insieme di cosa stiamo parlando.
Decisioni, decisioni, decisioni.
Come nella DEM, la landing dovrà a sua volta contenere i principali elementi che servono per mantenere focalizzata l’attenzione dell’utente su di essa: aggancio emozionale (vedi anche il nostro articolo sul ruolo delle emozioni nel processo decisionale), area razionale, trigger e CTA.
Tuttavia, è necessario comprendere in che punto del macroflusso l’utente si trova. Se nella DEM doveva essere incuriosito e informato dei vantaggi principali, nella landing l’utente deve prendere una decisione, che sia quella di attivare un servizio, comprare un prodotto oppure semplicemente lasciare un contatto (per i nerd, nei primi due casi si dice conversione, nell’ultimo invece lead generation o acquisire lead).
È facile capire che, prima di prendere queste decisioni, gli utenti ci pensano due volte (soprattutto quando si tratta di comprare qualcosa). Per questo motivo, alle aree sopra elencate si aggiunge una quinta: la gestione dei dubbi.
Vi faccio un esempio. Immaginate la situazione in cui siete riusciti ad attrarre l’utente con il vostro attacco emozionale, avete spiegato di cosa si tratta e avete posizionato tutte le CTA nei punti corretti. A questo punto l’utente, se interessato, dovrebbe automaticamente convertire, giusto? Sbagliato!
I dati HotJar che abbiamo raccolto in seguito ad una campagna condotta per un cliente, suggeriscono che almeno il 50% degli utenti ha bisogno di risolvere dei dubbi prima di cliccare sulle CTA. Se in questa fase del funnel i dubbi non vengono risolti, c'è un alto rischio che le persone finiscano per non convertire.
Come gestire i dubbi?
La buzzword di oggi è chatbot. Sicuramente lo strumento della chat e dell'assistenza permette di avvicinarsi ad una soluzione, utilizzando il proprio linguaggio naturale per porre domande. Ma ci sono dei “ma”:
- L'utente non sempre ha in mente un dubbio specifico perfettamente chiaro. In questa fase può essere utile che l'utente si chiarisca delle obiezioni che ancora non ha manifestato come pensieri espressi.
- Su quale base di conoscenza (database di contenuti) si dovranno appoggiare i chatbot?
La soluzione è molto semplice: individuare le domande frequenti che gli utenti si pongono in questo specifico contesto (ovvero le FAQ: Frequently Asked Questions) e rispondere in maniera adeguata. Questo metodo può essere fondamentale sia per far emergere in modo preventivo dei dubbi che gli utenti ancora non si sono posti, sia per fornire ai chatbot l'adeguata base di conoscenza.
Non è necessario stilare una lista infinita di domande, ma è importante che siano adatte agli utenti e al contesto per cui abbiamo progettato la landing.
Ad esempio, potrebbero essere diverse a seconda del fatto che la landing sia per una DEM o per una campagna AdWords. Oppure, i vostri utenti potrebbero essere persone che hanno a cuore la privacy, mentre altri sono più interessati a capire cosa voglia dire un “servizio cloud”. In ogni caso, come nel resto della landing, è necessario essere rilevanti nella gestione dei dubbi. Se state vendendo un’auto che ha degli ecoincentivi, non sarà necessario mettere la risposta alla domanda “Cosa è un volante?”, ma sarà molto importante capire “Cosa sono gli ecoincentivi?”.
Facciamo un esempio.
Alle volte si da per scontato che un termine sia conosciuto solo perché di uso comune. Ad esempio, da un recente sondaggio, fatto su un servizio di vendita immobiliare, abbiamo riscontrato che solo il 14% degli intervistati aveva un'idea chiara del significato di "metri quadri commerciali", nonostante il termine sia comunemente usato in ogni annuncio o modulo.
Dobbiamo trarre da questa considerazione che l’assenza di FAQ può creare un muro di indecisione molto elevato, soprattutto in caso di prodotti o servizi sconosciuti. Inserire delle risposte alle domande frequenti permette non soltanto di risolvere dei dubbi, ma anche di evitare che l’utente cerchi le risposte altrove, impedendo l’uscita (quasi sicura) dal funnel di conversione.
Non solo per le landing
Le FAQ non sono uno strumento utile solo per le landing: tantissimi servizi, ormai, hanno un portale di domande frequenti, dove le persone possono risolvere velocemente i propri dubbi. Tuttavia, pochi aggiornano davvero queste sezioni, nonostante le necessità delle persone evolvano di giorno in giorno.
Capire che le persone possano avere dubbi o necessità è il primo passo per comprendere l’importanza di tale strumento. Avere una sezione ufficiale dove le domande che vengono fatte possono essere risolte senza dover contattare l’assistenza migliora non solo l’esperienza degli utenti, ma anche i costi del mantenimento di un reparto di assistenza.
Come si scrivono delle FAQ efficaci?
Concludiamo con un piccolo vademecum di principi su come approcciarsi a questa task da non prendere sottogamba.
- Ascoltate gli utenti. É il principio numero uno della User Experience e può essere fatto in modi infiniti: dal fare delle interviste, al leggere i forum in cui gli utenti scrivono. In un talk a cui ho assistito ad Aprile, una UX designer di Shopify ci ha spiegato che lei, una volta a settimana, si mette insieme ad una sua collega nel reparto di assistenza. Ascoltando le conversazioni cercano non soltanto di risolvere dei problemi nel lato UX, ma di arricchire la loro sezione di self-care.
- Applicare la corretta tassonomia / gerarchica semantica, senza paura di creare link incrociati fra diverse sezioni. Ci è capitato spesso che un tema rientri correttamente in diversi ambiti: "come si gestisce un reso" può essere ricercato dall'utente sia come tema singolo, che come parte del tema "spedizioni" o del tema "garanzie per il cliente"... in questi casi bisogna creare una tassonomia chiara, ma anche non aver paura a creare cross link fra diversi argomenti in modo da essere maggiormente sicuri che l'utente trovi la sua risposta (senza duplicare i contenuti, se non vogliamo penalizzazioni a livello di DSEO e posizionamento sui motori di ricerca)
- Non esistono domande stupide, ma utenti non specializzati. Se dovete fare delle FAQ per una landing, le FAQ devono essere relative all’offerta che state facendo, ma anche alla tipologia di utenti alla quale la state proponendo. In una landing per una promozione su biglietti dei treni, una specifica sulla validità dell’offerta non è la sola cosa che può essere utile. Un utente straniero che viene in Italia potrebbe chiedersi per quali compagnie sia valida. Tenendo in considerazione che i pain differiscono a seconda degli utenti, avrete anche la possibilità di scrivere delle FAQ più utili e rilevanti.
- Non sono i “termini e condizioni”. Non trattate le FAQ come “T&C”. Non ci potrebbe essere niente di più diverso: nelle FAQ le domande vengono poste in modo naturale e si aspettano risposte chiare e concrete; i termini e le condizioni sono una sezione in cui l’utente si sente immediatamente truffato, perchè spesso scritte in piccolo e in legalese. Anzi, spesso le FAQ dovrebbero spiegare i termini e condizioni in modo semplice, per poi rimandare ai dettagli legali per quelli che amano usare il Magnifier di Windows.
- KISS (Keep It Simple Stupid!). So che è una frase trita e ritrita, ma è sempre vera. Le FAQ devono essere semplici, dirette e parlare di cose che l’utente ha già visto o ha in mano. Ultimamente ho visto delle FAQ che parlavano delle funzionalità di una interfaccia prima ancora che l’utente la potesse vedere. Queste non sono semplici, ma complesse. Costringono l’utente ad immaginarsi qualcosa che ancora non ha visto (e che non avrebbe visto fino all’acquisto).
In conclusione
Preparatevi a gestire i dubbi delle persone, perché quando si tratta di sborsare soldi ne vengono tanti. E, soprattutto, siate rilevanti. Come dice Howard Gossage: “Le persone non leggono le pubblicità. Le persone leggono ciò che interessa a loro. Talvolta, coincide con una pubblicità”. Se le vostre FAQ saranno rilevanti per gli utenti, leggeranno anche quelle, altrimenti cercheranno le risposte da altre parti. Oppure se ne andranno.
FAQ: esempi
- Cosa è il Johnson Box?
Hai presente il testo di anteprima che vedi nella notifica di una nuova email? Quello!
- Cosa significa “DEM”?
Direct Email Marketing. In pratica, quelle email che solitamente ti propongono l’acquisto o la scoperta di un nuovo servizio o prodotto.
- Mi è piaciuto questo articolo! Ce ne sono altri?
Certamente! Guarda la sezione Xmag del nostro sito. Ne abbiamo a bizzeffe e cerchiamo di pubblicarne nuovi ogni settimana.
Cosa scegli in quei mitici 3 secondi?
Unisciti a me e insieme potremo governare la galassia…
Quanto tempo avresti impiegato tu a rispondere alla richiesta di Darth Vader?
Meno, molto meno di quanto credi: tutto in realtà si decide in pochi secondi e spesso in millesimi di secondo; anche il tuo prossimo clic, quello che eventualmente ti farà scorrere questa pagina fino in fondo, oppure abbandonare la navigazione.
Facciamo un esempio: se sei arrivato a leggere fino a qui, hai già dedicato circa 10 secondi a questo articolo. Il tempo di lettura medio infatti è di 4/5 parole al secondo, calcolato per una comprensione superiore al 60% del testo. Di fatto quindi questo significa che, per ora, “ti ho agganciato”. È già il momento, per me, di cominciare velocemente a entrare nel merito di quanto voglio raccontarti per non perdere la tua attenzione. Perché tutto si gioca nei primi secondi. Con suggestioni emozionali e senza deludere le premesse e le promesse.
Per entrare subito nel merito: secondo uno studio recente del prof. Tobias Donner, pubblicato anche sulla rivista Mind di Settembre 2019, quello che sta succedendo ora al tuo cervello è più o meno questo:
- il tuo istinto (chiamato in causa da una parte del cervello molto “profonda” detta tronco encefalico) ha manifestato alcune alcune sensazioni basiche (come la curiosità, la simpatia, l’empatia con l’immagine nell’header, ecc) e ha deciso che l’incipit dell’articolo è abbastanza interessante, mi ha dato fiducia e vuole vedere dove vado a parare. Probabilmente è almeno un po’ curioso di leggere i dettagli dello studio al quale ho accennato.
- man mano che prosegui nella lettura, la tua parte più razionale, in grado di elaborare concetti sempre più astratti (la corteccia), viene sempre più attivata dall’elaborazione di informazioni “tecniche” che richiedono concentrazione: probabilmente le tue pupille si stanno leggermente ingrandendo proprio adesso.
- infine (e qui sta il bello): man mano che le informazioni più complesse vengono elaborate, il tuo cervello non si dimentica affatto di quanto ha provato pochi secondi prima. Ogni singolo pezzo di informazione aggiuntiva che io aggiungerò d’ora in avanti al testo, verrà elaborata dal cervello facendo costante riferimento al tuo istinto. Se quello che aggiungerò sarà coerente, proseguirà; se invece tradirò le aspettative emotive, potrebbe decidere di interrompere la lettura.
In altre parole se, e solo se, ogni pezzo aggiuntivo di informazione è in grado di confermare “l’imprinting” emozionale dato dai primi secondi di un’esperienza, allora questa verrà portata alla fine, altrimenti sarà abbandonata.
Ho disegnato uno schema per spiegare meglio questo meccanismo e trarne delle conseguenze molto operative, ma prima devo precisare un paio di cose.
Primo
Le tecniche basate sulle scienze cognitive non sono affatto così sicure come si vendono. Anche se il neuromarketing ha ormai una storia più che trentennale, alcuni processi rimangono oscuri e misteriosi. Le supposizioni degli studiosi, talvolta si appoggiano su una base sperimentale davvero piccola (ad esempio 10-20-30 casi) quindi poco rilevante.
Io ho avuto la fortuna e il privilegio (col team di Greatpixel) di aver lavorato per conto di alcuni grandi brand, con una customer base di centinaia di migliaia o milioni di utenti e di aver sperimentato questi concetti misurando con attenzione KPI oggettivi (tassi di clic through, di conversione, numero di vendite…). E nonostante questo mi sento di ricordare che parliamo solo di teorie: ognuno ne faccia l’utilizzo che crede in modo prudente e responsabile.
Secondo
Qui non stiamo parlando di bias, preconcetti o malfunzionamenti del cervello. Non stiamo dicendo che ci sono trucchi che ci fanno prendere decisioni contro la nostra volontà. In pratica non stiamo parlando di manipolazione, ma di come funziona il meccanismo per prendere tutte le decisioni, anche e sopratutto quelle più giuste.
Ciò detto…
Ecco lo schema, che ho liberamente tratto dall’articolo di cui sopra. Se cercate la spiegazione è a seguire.

La curva rossa indica che la maggior parte delle scelte legate ad un clic, come quello chiesto ai soggetti dell'esperimento di Donner, avviene fra i 2 e i 4 secondi.
In questo periodo di tempo, l'informazione compie un "lungo viaggio":
- raggiunge la corteccia visiva (più o meno dove c'è l'occhio);
- l'informazione viene poi mandata per un primo "check" al tronco encefalico (in rosso), dove vengono elaborati gli istinti primari. Secondo la teoria del cervello tripartito, è lì che risiede la parte più istintiva del cervello, che risponde immediatamente alla domanda "ma questa cosa mi interessa?" oppure "questa cosa risponde ad un mio bisogno primario in questo momento?" Solo se la risposta è sì, la valutazione prosegue;
- l'informazione viene poi elaborata man mano dalla corteccia in modi vari e complessi, che cambiano da emozione ad emozione, da informazione ad informazione (le aree blu) e raggiungono diversi livelli di astrazione. Durante questa fase, però, continui flussi di attivatori (cosiddetti neuromodulatori: sostanze chimiche come la dopamina o l'acetilcolina) interrogano il tronco: in pratica ogni pezzo di informazione nuova deve corrispondere all'imprinting dei primi decimi di secondo!
- infine si arriva all'attivazione motoria (il dito sul mouse) rappresentata dall'area arancione. Ho cliccato sul bottone, ho chiuso al pagina, ho scrollato verso il basso... il tutto dopo pochi secondi.
Cosa significa tutto questo? Ecco un piccolo elenco di conseguenze pratiche, utili a chi si occupa di progettazione e di vendita online:
- le scelte completamente razionali non esistono. Non c'è nessuna caratteristica oggettiva del tuo prodotto o servizio che può battere un'emozione. Ti giochi tutto nei primi 3 secondi.
- Non aspettarti che sia l'utente a cercarsi le informazioni più rilevanti per lui. Se non troverà una promessa rilevante in pochi secondi, abbandonerà il processo in cui è inserito.
- Correda la tua promessa di materiale emozionale adeguato. Non scegliere un'immagine solo perché attira l'attenzione. Una immagine, per quanto bella, se è decontestualizzata, genererà dissonanze cognitive lungo il processo decisionale e porterà all'abbandono.
- Assicurati di essere completamente coerente con quello che è stata la "promessa" in tutta l'esperienza. L'esperienza di analisi e assunzione di informazioni "razionali" può essere un processo più o meno lungo (a scegliere una macchina possiamo metterci settimane), ma in realtà tutto deve essere estremamente coerente: ad esempio usa sempre gli stessi termini chiave usati nella promessa nel resto della proposta (nelle regole dell'estetica scritta: senza essere ripetitivo o noioso).
- Se pensavi che con una bella creatività ti era possibile vendere qualsiasi cosa, ricrediti. La coerenza è tutto: se un pezzo di informazione è palesemente distonico rispetto alla promessa (pensa alla quantità di "free trial" che poi si scoprono essere veri e propri abbonamenti), mettilo in evidenza in modo chiaro e spiegandone i motivi o perderai la vendita.
L'articolo ha risposto alla sua promessa iniziale?
Faccelo sapere su Linkedin!
A/B test e CRO? Metodologie e tool che devi assolutamente conoscere
Oggi ti parlerò dell’A/B Test e ti spiegherò perché devi conoscerlo in modo da ottimizzare le conversioni del tuo sito web.
Cos’è un A/B Test?
Un A/B test è un esperimento che viene fatto su una pagina web su cui vengono testate una o più variazioni della stessa, al fine di ottimizzare il tasso di conversione.
Detto in maniera più semplice un A/B test divide il traffico in entrata di un sito verso versioni differenti della stessa pagina, in modo da comprendere la variante che performa meglio e pubblicarla.
Risultato? La variante che raggiungerà l’obiettivo in maniera più efficace sarà la vincitrice, mentre potremo scartare la variante sconfitta.
Questo strumento è così importante per una corretta strategia CRO che molto spesso si arriva, erroneamente, all’equazione A/B TEST = CRO. Sappiamo bene, però, che la Conversion Rate Optimization è una disciplina molto ampia e quello dell’A/B TEST è solo uno dei suoi strumenti.
Perché dovrei avviare un A/B Test?
Semplice, se vuoi ottenere il massimo in termini di conversione dai tuoi investimenti in marketing non puoi fare a meno di una strategia di Conversion Rate Optimization, e di conseguenza di un A/B test ma…
Attenzione! Non tutti i siti possono avviare un A/B test: è consigliabile almeno un traffico di diverse migliaia di utenti (ipoteticamente più di 50mila) al mese sul target di riferimento per assicurare una elevata affidabilità del risultato in tempi ragionevoli.
L’A/B test è uno strumento che viene utilizzato solamente dopo una serie di analisi fatte in precedenza e che variano a seconda del progetto e fanno parte della CRO ovvero:
Understanding & Funnel analysis
- Prima fase di analisi che pone le basi a tutto il lavoro futuro. La comprensione del brand nella sua interezza e una dettagliata analisi del funnel di vendita è fondamentale per supportare il lavoro di Redesign UX/UI.
- Già in questa prima fase possiamo ricavare una serie di ipotesi rilevanti da tenere in conto per i nostri test.
Analisi euristica
- Grazie ad una attenta analisi euristica, si riescono ad individuare quegli elementi che potrebbero impattare negativamente sull’esperienza dell’utente. Fra gli errori più comuni: la violazione delle euristiche di usabilità, l’assenza di una gestione efficace dell’attention budget dell’utente, l’assenza di trigger motivazionali, la confusione visiva dell’interfaccia. Per analizzare quest’ultima, strumenti come l’eyetracking e le mappe di calore possono fornire ottimi indizi per individuare i problemi (pain points).
- I pain point più gravi possono essere subito modificati, per le opzioni più dubbie e sulle quali vorremmo un riscontro effettivo… esiste l’A/B test, appunto.
Analisi tecnica
- Individuate i KPI più importanti, è opportuno condurre un’analisi tecnica che analizzi ed individui quali problemi e criticità stanno comportando una “perdita” nel funnel. Questa fase si muove principalmente tramite tool analitici, user test e all’occorrenza anche attraverso sondaggi targettizzati sul sito web di riferimento.
- Prendendo gli esempi più semplici potremmo notare: una pagina con un conversion rate molto basso, un tasso di abbandoni al carrello molto elevato, una fonte di traffico con un tasso di rimbalzo più alto della media o un device che ha problemi di visualizzazione di alcuni elementi.
Redesign (UX/UI)
- Iniziamo a disegnare: completata questa fase molto articolata e complessa, avremo già una buona base di ipotesi da cui partire per i nostri test.
Vedremo nel prossimo capitolo che è molto importante non limitarsi alle ipotesi riscontrate durante il lavoro ma dedicare sempre del tempo post-produzione alla definizione di nuovi elementi ottimizzabili.
Le fasi di un A/B test
Completate le fasi che precedono l’inizio di un A/B Test, inizia il vero lavoro di fine tuning.
Chiariamo quindi le principali fasi di un A/B test.
Definizione delle ipotesi di ottimizzazione
- Review dell’intero progetto e formulazione delle ipotesi basate sulla nuova UX/UI.
Progettare/Disegnare le varianti (GreatPixel ha il suo Metodo NEKTAR)
Selezionare il target per il test (Personas)
- Utilizzando le personas realizzate in fase di UX oppure clusterizzazioni identificate in fase di ipotesi, si individua il target di interesse per ogni singolo test e i parametri comportamentali o di contesto per segmentarne il traffico.
Impostazione tecnica del test (Split, KPI, URL, Certainty vs Speed ecc..)
- Fase puramente tecnica volta ad inserire sul tool utilizzato impostazioni di varia natura come il numero di utenti, le KPI di interesse, il bilanciamento velocità/certezza del risultato ecc..
Analisi dei risultati & key learning
- Infine, se con la tua analisi raggiungerai risultati positivi, otterrai utili insights, a conferma delle ipotesi iniziali, su eventuali modifiche da implementare sul sito web.
Ma attenzione: i test negativi non sono mai un fallimento, anzi sono ottime basi per formulare nuove ipotesi da mettere in test.
Supporto all’a/b test: scegli il tool più adatto alle tue esigenze
Ogni tool possiede le proprie caratteristiche uniche in relazione al costo: questo rende la scelta del tool una fase assolutamente da non sottovalutare in fase di progettazione.
Come metrica di riferimento prenderemo un qualsiasi sito web con una media mensile di 190.000 utenti.
Kameleoon

Kameleoon permette di creare qualsiasi tipo di A/B test con un sistema di targetizzazione completo integrato con meccanismi di AI.
Se state cercando un tool per A/B test e web personalization con un occhio verso il futuro, ed un ottimo rapporto qualità prezzo, questa è la scelta giusta.
- Costo: stimando una UV (unique visitor) mensile inferiore ai 200.000 utenti, il costo può essere inferiore ai 1000 euro, con possibilità di aggiungere a prezzi convenienti il modulo personalization + costi di setup a parte
- Realizzazione A/B test: supporto completo alla realizzazione di A/B test e multi-variation test
- Targetizzazione A/B test: targetizzazione completa con funzioni avanzate di AI prediction
- Personalization: potente motore interno di website personalization, integrabile agli a/b test
- Ulteriori feature: supporto avanzato ai KPI
VWO Experience optimization

VWO è un multi-tool che oltre al normale servizio di A/B test offre tutta una serie di funzioni aggiuntive senza ricorrere ad ulteriori strumenti esterni (Hotjar, crazyegg ecc..)
Risulta essere un’ottima scelta se prevediamo una analisi avanzata dei dati ma non abbiamo il tempo/risorse di gestire 4 tools differenti.
- Costo: personalizzato; il prezzo viene concordato con un commerciale a seconda delle esigenze, essendo un tool che comprende moltissime feature. In linea generale e sulla base della vostra UV possiamo ipotizzare un costo tra i 500-2000 euro mese
- Realizzazione A/B test: supporto completo alla realizzazione di A/B test e multi-variation test
- Targetizzazione A/B test: targetizzazione completa
- Personalization: motore interno di website personalization integrabile agli a/b test
- Ulteriori feature: insight, funnel creation, heatmap, form, session recorder, survey, website review, progetti e ipotesi, documentazione e case studies molto accurate
Google Optimize

La risposta alla realizzazione di un A/B test made in Google, evoluzione del sistema già presente su Analytics.
Questo tool totalmente gratuito permette di creare in maniera semplice A/B test con un buon livello di targetizzazione, ed ha integrato un buon motore di web personalization.
Se Optimize è quello che vi serve e non avete bisogno di funzioni avanzate, questo è sicuramente il tool che fa per voi.
- Costo: gratuito
- Realizzazione A/B test: ottimo supporto alla realizzazione di A/B test e multi-variation test
- Targetizzazione A/B test: buon livello di targetizzazione
- Personalization: limitata, ma comunque di buon livello
- Ulteriori feature: integrazione con tutti i sistemi Google incluso analytics, da cui eredita dati sul traffico e segmenti di pubblico
Optimizely

Uno dei tool più completi quando si parla non solo di A/B testing, ma anche di web personalization, targetizzazione ed analisi dei dati.
Optimizely è un tool molto versatile che possiede integrazioni innate con tool come Analytics, Crazyegg, Clicktale, Google Ads ecc… , dando comunque piena libertà grazie alle API.
Una delle scelte migliori se volete chiedere il massimo dal vostro tool di testing.
- Costo: personalizzato e concordato con un commerciale, è un tool molto avanzato che che costa tra i 36.000 e i 200.000 euro annui mediamente
- Realizzazione A/B test: supporto completo alla realizzazione di A/B test e multi-variation test avanzati
- Targetizzazione A/B test: targetizzazione completa ed avanzata
- Personalization: personalizzazione avanzata ed integrazione con A/B test
- Ulteriori feature: Analytics, supporto per siti dinamici, behavioral targeting, product and content recommendation
Questa è la nostra conoscenza riguardo i tool per condurre un A/B test realmente efficace e personalizzato a seconda delle differenti esigenze.
E tu, quale tool utilizzi per il tuo business? Quali risultati hai ottenuto?
L’impatto dei contenuti sulle vendite, secondo le neuroscienze
Esiste un rapporto diretto e biunivoco fra l’applicazione delle neuroscienze alla progettazione di un contenuto e potenzialità di vendita di un prodotto o servizio sul web. Vediamo in che modo…
Se vogliamo realmente capire cosa spinge una persona a comprare su un sito web è necessario indagare i meccanismi attivati dalle immagini utilizzate, dal Copywriting e dalla disposizione degli elementi per attivare le aree più profonde del nostro cervello. In questa direzione, i dati raccolti da Netcomm (Net Retail 2016) dimostrano che un significativo tasso di utenti (6,7%) non reputa sufficientemente chiari i contenuti del sito per la scelta del prodotto.
Da qui la necessità non solo di avere descrizioni sempre più precise, chiare e dettagliate sulle specifiche di beni o servizi, ma anche di mantenere alto il livello di coinvolgimento emotivo, che è il vero fattore di successo dei contenuti, soprattutto in un ambiente dispersivo come quello digitale. Ma per fare ciò occorre spiegare brevemente il cervello umano.
Come risulta dalle moderne ricerche neuroscientifiche, il cervello è ripartito in tre parti che interagiscono e funzionano contemporaneamente ma con tempi diversi: 1) molto veloce: istinto, intuito e sopravvivenza; 2) veloce: emozione ed esperienza; 3) lento: razionalità e comprensione razionale. Bisogna quindi comunicare in maniera adeguata dando il giusto peso a queste singole parti durante la strategia di vendita o di marketing e non bisogna sbagliare la sequenza di parole o la scelta delle immagini.
Pochi decimi di secondi, per rassicurare e convincere
Secondo la teoria dei tre cervelli di MacLean, il primo ad attivarsi è il cervello rettile, che capta velocemente una informazione e ci restituisce una prima impressione di ciò di cui ha fatto esperienza. Quest’area si occupa di compiti automatici come evitare pericoli, farci respirare, farci mangiare, farci riprodurre: insomma le regole ancestrali di sopravvivenza. In che modo? Vediamo4 esempi concreti:
Utilizzare le immagini: chi vende prodotti cosmetici, deve mostrare anche il valore di ciò che sta vendendo inserendo immagini del prima e del dopo aver utilizzato il dato prodotto. Il cervello rettile vuole essere impressionato e le immagini contrastanti sono un ottimo mezzo.
Rendere “luccicante” l’aspetto dell’oggetto in vendita. Le lattine di bibite o i profumi luccicanti, ad esempio, sfruttano l’innesco mentale alla seteper stimolare subito il desiderio di acquisto e di consumo.
Sfruttare sapientemente i bias cognitivi: la scarsità, il senso di urgenza e la competizione attivano una risposta imminente da parte del cervello rettile. “Solo 10 t-shirt rimaste sul nostro sito“; “Solo per oggi approfitta del 10% di sconto su tutti i prodotti“, “Altre 8 persone stanno guardando questo prodotto”. Difficile resistere a questi messaggi!
Focalizzarsi sull’orientamento di utilizzo del prodotto. Quando si realizza la creatività per un prodotto, supponiamo una fetta di torta, bisogna orientare l’immagine secondo il senso di utilizzo delle persone. Quindi torta + cucchiaino a destra e non il contrario (ci saranno potenziali acquirenti mancini, ma sicuramente in minoranza) cosicché chi vedrà l’immagine, attiverà in maniera fluida e automatica le aree del cervello predisposte all’interazione con l’oggetto mostrato e il suo impulso sarà quello di acquistare il prodotto e mangiarlo il prima possibile.
Pochi secondi per stimolare un’emozione
Il cervello limbico o intermedio, legato alle emozioni, attiva quei pensieri veloci alla base delle nostre scelte inconsce. Questa parte ha bisogno di entusiasmarsi. Accompagnato a un testo che abbia semanticamente la capacità di agganciare emotivamente l’utente, l’inserimento di un’immagine evocativa può incidere fortemente sul tasso di conversione, soprattutto se questa è strettamente legata alla ricompensa ottenibile dall’utilizzo del servizio/prodotto. Vediamo degli esempi:
Motivare l’utente: le persone possono essere motivate spostando il loro focus sulla risoluzione dei problemi che eviteranno se faranno questa cosa o se acquisteranno questo prodotto, oppure spostando il loro focus sui vantaggi che otterranno dopo aver fatto una determinata cosa o aver acquistato un dato prodotto. “Con questo x prodotto, sarai pronto alla prova costume in 1 mese!”.
Gratificare l’utente: “Bel colpo!(in grassetto rosso) Questo è il prezzo più basso che hai trovato per Roma nelle tue date!“. Questo messaggio motiva l’utente a proseguire verso l’acquisto, è persuasivo in quanto gli da l’illusione del controllo, quando invece è il brand che lo sta influenzando verso una certa scelta piuttosto che un’altra.
Sfruttare l’effetto sorpresa: se negli spogliatoi di una palestra che sta visitando in previsione di abbonarsi, un utente trova campioni di bagnoschiuma, tappetini per la doccia, tendine nuove per ogni spogliatoio e tante foto dei clienti appese al muro, avrà la percezione di essere in una struttura amata dai clienti. Risultato? Si abbona. I vantaggi dell’effetto sorpresa sono numerosi: stupisce piacevolmente l’utente, con qualcosa di inatteso; lo fidelizza evocando il desiderio di rivivere quella bella esperienza; differenzia il prodotto rispetto a quello dei concorrenti.
Ora prenditi il tempo di “unire tutti i puntini”
La neocorteccia, presente solo negli esseri umani, è la parte logica del cervello che elabora le informazioni e gli stimoli esterni. La domanda che si pone è:date le informazioni e gli stimoli ricevuti, è logico che io faccia/acquisti questo? Quando la vendita o la comunicazione di un prodotto è fatta bene e mette d’accordo le prime due parti di cervello, la neocorteccia avrà le funzioni decisionali quasi azzerate. Vediamo degli esempi:
100% latte italiano: anche se non è detto che questa caratteristica “tecnica” sia una garanzia di una maggiore qualità del prodotto, comunicandola, il brand dimostra di trattare l’utente come un esperto del settore, uno che sa cosa è buono e cosa no.
Inserire un video che mostra come prodotto, anche se stressato da condizioni climatiche/azioni brusche etc., resiste e non si rovina.
Ricordare i limiti della memoria a breve termine: essa è capace di conservare solo una piccola quantità di elementi, da 5 a 9 per una durata di 20” circa. Offrire un lungo elenco puntato di informazioni tecniche riguardanti il prodotto è, quindi, controproducente perché l’utente finirà per non ricordarle.
Gestire la fase delle obiezioni con le FAQ, con le certificazioni di qualità e le recensioni è utile per anticipare i dubbi dell’utente e per rassicurarlo sul prodotto che ha intenzione di comprare o che ha appena comprato. E’ importante anche mostrare testimonianze altrui che stimolino l’utente ad acquistare il prodotto. Anche i Chatbot aiutano perché rispondono in tempo reale ad ogni dubbio facendoti risparmiare tempo e ti propongono dei prodotti personalizzati sulla base dei tuoi gusti.
Importanza della CTA: una CTA chiara e leggibile è indispensabile per indurre l’utente a compiere quell’azione che noi vorremmo compiesse. Quindi “Acquista” deve essere sempre ben visibile.
Un e-commerce che vende? Ecco tutte le best practice dalla homepage al checkout
Certo, tutto inizia con un buon prodotto, ma un sito web davvero eccellente supporta i suoi clienti in ogni fase della Customer Journey creando un’esperienza utente semplice e fruibile. Quindi, se vuoi che il tuo sito web converta, lavora per ridurre al minimo tutti gli ostacoli che conducono dalla Homepage al check-out.
In questo articolo ci concentreremo sulle best practice relative alle tre pagine chiave del tuo e-commerce: Home, Product Page e Check-out.
Non mancheranno esempi tangibili: prenderemo come riferimento l’e-commerce di Kikocosmetics, eletto dal Netcomm Forum Award come miglior sito del 2019, per quanto riguarda innovazione, creatività, usabilità ed efficacia (chiarezza) e noi lo prenderemo a modello per mostrarti l’efficacia dei consigli che ti stiamo per svelare.
Andiamoli a vedere da vicino
Home
Avere uno splendido sito web è inutile se non vende, ma questo è qualcosa che puoi prevenire:
- Mobile first, cioè "il gioco della torre": soprattutto navigando da mobile, l’efficacia del sito comporterà delle scelte: cosa rendere visibile subito in uno spazio percettivo molto piccolo? Per cui ricorda: le persone non vogliono sprecare il loro prezioso tempo e tu non devi sprecare il loro, hai pochi secondi per convincere l’utente che la navigazione del sito valga l’investimento.
- Usa una tassonomia intuitiva: crea voci di menù descrittive e fai in modo che siano il meno possibile di modo che i tuoi clienti o potenziali clienti riescano a trovare ciò di cui hanno bisogno senza sforzi (NB: ricorda che la MBT, la memoria a breve termine permette di mantenere a mente in una lettura rapida fra i 5 e i 9 elementi al massimo). Uno dei motivi per cui gli utenti decidono di non acquistare da te è la complessa navigazione del tuo sito.
- Crea contenuti di valore immediatamente percepibili: non dovremmo mai giudicare un libro dalla copertina, eppure lo facciamo sempre: secondo le moderne ricerche sul comportamento d’acquisto degli utenti, hai 0,3 secondi per convincere l’utente a proseguire la navigazione e rispondere alla sue domande: "sono nel posto giusto?", "perchè mi interessa?", "cosa ci si aspetta che faccia qui?".
Quindi, quali sono questi elementi che ingaggiano la nostra attenzione?
1. Una Value Proposition o dichiarazione d’intenti chiara: indica il motivo principale per il quale un cliente dovrebbe scegliere te e non un tuo concorrente. Comunica i vantaggi del tuo marchio attraverso un elemento visivo e un copy persuasivo.
2. Dimostra la tua credibilità: condividi le testimonianze dei tuoi clienti e dei tuoi testimonials. Le persone comuni vogliono fare quello che fanno gli altri e le recensioni alimentano il loro desiderio di Social Proof.
3. Un design semplice dal punto di vista percettivo, senza troppi fronzoli e confusione, genera fiducia (vedi anche "Persuasive technology" di BJ Fogg). Utilizzare l'eyetracking aiuta a comprendere eventuali affollamenti cognitivi e visivi.
Un esempio pratico? Guardiamo la Home di Kikocosmetics, eletto dal Netcomm Forum Award come miglior sito del 2019, che come GreatPixel conosciamo bene, essendo stati parte della giuria e del supporto tecnico del lavoro preparatorio alla definizione del premio.

- La home è mobile first: Secondo gli ultimi insights sull’andamento dell’e-commerce in Italia, nel 2018 il 62% delle persone ha acquistato online: di questi c’è un 14% che dice di utilizzare “sempre” lo smartphone per i suoi acquisti online, a cui si aggiunge un 34% che dice di farlo “spesso” con la risultante che più della metà di chi acquista in Rete in Italia è, appunto, un mobile shoppers.
Come si vede dalla mappa di calore che abbiamo simulato, nei primi 3 secondi da mobile (In Italia, la percentuale degli acquisti effettuati da mobile è stata del 28%,) il brand e la promozione sono gli elementi in assoluto più visibili, risolvendo quindi sia il tema del posizionamento (“dove sono?”) che caricando l’utente di aspettative sui vantaggi economici che può ottenere.
- La navigazione è intuitiva: il menù è ricco ed è strutturato in maniera ottimale: conta 8 voci tra cui “novità” per gli early adopter, ovvero quelle persone che vogliono acquistare sempre la novità magari sponsorizzata dal loro testimonial di fiducia; “Promo” per coloro che sono price sensitive e che vanno alla ricerca dell’affare; Best Seller” utile a coloro che vogliono acquistare il prodotto di tendenza per essere sicuri di loro stessi; non mancano poi i comuni filtri come “make up” e “cura delle pelle”, i quali hanno sotto di sé tutte le specifiche di cui hai bisogno per individuare subito il prodotto di cui necessiti.
- La Value proposition è chiara: “Perché io utente sono qui?” Perché Kiko realizza prodotti made in Italy. O perché “se compri due prodotti, due sono in omaggio”, “perché ci sono gli ultimi giorni di saldi”.
- Dimostrazione chiara di credibilità da parte del Brand: sotto l’hashtag “KIKOTRENDSETTERS” ci sono una serie di foto di clienti/testimonials che dimostrano di utilizzare il prodotto. Ottimo per la Social Proof!
- È facile connettersi con il Brand: Ai piedi della home ci sono i loghi dei Social utilizzati dal Brand e i link all’assistenza clienti per farti sentire sicuro sin dai primi istanti della navigazione.
Product Page: la scheda prodotto è quel contenuto in grado di trasformare un visitatore in cliente. Per questo devi istruirlo sul tuo prodotto, incuriosirlo con le occasioni d’uso e spingerlo a fare clic su “Aggiungi al carrello”.
Vediamo allora quali sono gli elementi più importanti per la tua scheda prodotto
- È opportuno che tu mostri il tuo prodotto sempre in uso. L'immagine a buona risoluzione è importante (il 70% degli acquirenti infatti preferisce ingrandire le immagini prima di ordinare) ma sopratutto non aver paura di mostrare le caratteristiche del tuo prodotto con video o foto "realistiche" per ottenere la fiducia dell'utente.
- Product info: è importante utilizzare un linguaggio semplice e dimostrativo, che risponda cioè alla domanda: perché devo acquistarlo? Quali sono i vantaggi che derivano dall’utilizzo? Come si usa? Se il prodotto è disponibile in formati o colori diversi, comunicalo.
- Inserisci i correlated products: è importante fornire una esperienza di navigazione personalizzata sulla base degli interessi e dei gusti dei clienti.
- Sfrutta i bias cognitivi, i più usati sono urgency e scarsity per convincere il tuo cliente ad acquistare il prodotto. L’urgenza è quando il tuo potenziale cliente ha la sensazione di dover agire rapidamente per non farsi scappare l’occasione, dall’altra parte, la cosa affascinante della scarsità è che quando un prodotto è in esaurimento, aumenta negli utenti il desiderio di averlo. Come l’urgenza, quindi anche la scarsità crea le condizioni per attivare una scelta senza procrastinare.
Un esempio pratico? Guardiamo la scheda prodotto di un fondotinta di Kikocosmetics
Product page

Primi 3 secondi: Grazie alla heatmap notiamo che a questo punto del funnel emerge ancora chiaramente un’attenzione forte nei confronti del brand. Questa scelta non è casuale dal momento che non è detto che l’utente arrivi dalla Homepage del Brand. C’è bisogno quindi di dirgli dove si trova. Recenti statistiche infatti mostrano come il 43% del traffico su e-commerce provenga da ricerche organiche su Google. Ciò sta a significare due cose: la prima che è ancora essenziale costruire un sito tenendo presente la SEO; la seconda che la maggior parte delle persone che entrano sul sito e-commerce sanno già cosa acquistare e hanno digitato precise parole sui motori di ricerca.
Attenzione però: nei primi 3 secondi da mobile il prezzo non è visibile. Scelta voluta o errore di progettazione? Dal punto di vista del traffico organico questa scelta sembrerebbe sbagliata (perché non hai sfogliato la lista dei prodotti quindi non sei a conoscenza dei prezzi), dal punto di vista del traffico interno non è sbagliato.
Sulla base di queste statistiche comunque, si potrebbe pensare ad una web personalization per migliorare l’esperienza degli utenti che non sfogliano la lista dei prodotti ma che atterrano direttamente sulla product page.

Visual (e video): Atterrato sulla product page, la fotografia del prodotto è ben visibile ed è zoomabile. Non è presente un video che dimostri come utilizzare il prodotto, ma in un certo senso il pubblico femminile è già ben istruito a riguardo.
Product info: Affianco all’immagine è presente il nome del prodotto “Smart hydrating foundation” con una breve descrizione delle sue caratteristiche peculiari “fondotinta fluido idratante e uniformante” e tutte le diverse tonalità di colore in cui è disponibile il prodotto. Sotto il visual trovi una lunga Marketing description che esprime con linguaggio semplice ed emozionale quali sono i vantaggi del prodotto: “perfeziona il tuo incarnato…. assicura un finish satinato e naturale che dura a lungo per una pelle impeccabile”. Il vantaggio è “un risultato naturale che dura tutto il giorno”...
Call to Action: mentre scrolli, la call to action “aggiungi al carrello” è sticky, quindi sempre presente. Ottimo per aumentare le conversioni.
Social Proof: se a questo punto non sei ancora convinto delle tue scelte, Kiko ti mostra le recensioni dei clienti che hanno acquistato il prodotto. Sono al momento 206 (molte persone hanno acquistato e recensito il prodotto) e sono tutte positive… non mi resta che acquistare!
L’urgency e la scarsity mancano, ma l’utilizzo di questi due bias rimane un consiglio utile da seguire. Sarebbe idoneo utilizzarli nelle schede prodotto dei Best Seller per incentivare all’acquisto di questi prodotti tanto amati dal pubblico.
Cart e Check-out
Quindi, quando sei riuscito ad ingaggiare l’attenzione degli utenti attraverso la tua fantastica Homepage, quando hai aumentato il loro interesse con i contenuti della tua pagina prodotto, allora è il momento di ispirarli a finalizzare l’acquisto. Il check-out è l’ultima parte del viaggio nel funnel di vendita, ora non puoi sbagliare e devi rendere tutto più semplice:
Riduci all'osso questa pagina ed elimina tutte le informazioni non necessarie a questo punto del funnel.
Check out con o senza registrazione: in questa fase devi cercare di assecondare il più possibile il tuo utente se non vuoi che abbandoni il carrello. Il 23% degli utenti decide infatti di abbandonarlo se deve creare un nuovo account. Quindi, se non hanno voglia di registrarsi, devono poter acquistare lo stesso.
Form essenziale e semplice: qualora l’utente decidesse di registrarsi, per rendere l’esperienza utente il più fluida possibile, lascia fuori dal modulo tutti i campi irrilevanti e concentrati su quelli importanti per te come nome, cognome, numero di telefono, indirizzo e-mail, indirizzo di consegna e informazioni sulle modalità di pagamento.
Trasparenza sui costi e sui tempi di spedizione: i clienti non amano le spiacevoli sorprese. Ecco perché devi mettere in risalto le opzioni di spedizione e i costi, nonché la data prevista di consegna. Questi accorgimenti rientrano sempre nella costruzione di una trust positiva nei confronti del tuo Brand.
Continua a lavorare sulla trust: i clienti sono consapevoli degli attacchi informatici e delle violazioni dei dati. Quindi, prima di acquistare da te, vogliono verificare che tu e il tuo sito siate affidabili. È utile, quindi, inserire i security badges e la privacy policy per dimostrare la tua autorità e per rassicurare i tuoi clienti.
Un esempio pratico? Guardiamo il cart e il check out di Kikocosmetics.


A livello di mappa di calore, notiamo che nel cart il brand è meno visibile perché ormai il tema del posizionamento è risolto: sai dove ti trovi e stai, probabilmente, per acquistare. Questo è l’ultimo step dell’esperienza e, come dimostra la mappa di calore, c’è, come nella scheda prodotto, una grande attenzione nei confronti del nome del prodotto.
È opportuno infatti verificare di aver scelto il prodotto giusto (una statistica mostra che il 21% degli utenti ammette di aver acquistato qualcosa per sbaglio) per ridurre l'incubo di ogni gestore di ecommerce: i resi!
C’è un’attenzione fortissima sui codici promozionali dal momento che i clienti di kiko sono price sensitive per cui il brand vuole andare loro incontro dandogli la possibilità di verificare se possono risparmiare ulteriormente. Il “vai alla cassa” non è sotto focus (non ci sono molti click) perché a questo punto ci sono molte persone che semplicemente stanno verificando la convenienza del prodotto comprensivo di spese di spedizione etc al fine di capire se ne vale la pena. Questa fase è cruciale infatti: una statistica mostra come al 68% dei casi le persone decidano di abbandonare il carrello, magari a causa di costi aggiuntivi improvvisi o perché le spese di spedizione sono alte.
A livello di Cart si possono fare le solite azioni come aumentare o diminuire la quantità dei prodotti scelti o semplicemente puoi aggiungerne altri prodotti correlati che Kiko ti continua a proporre. Il cross selling in questa fase del funnel è molto sofisticato perché ti aiuta a risparmiare: se ti mancano 3 euro per la spedizione gratuita, ti suggerisce prodotti idonei per raggiungere la cifra. Molto persuasivo!
Trust presente anche nel Cart perché in ogni momento puoi visualizzare i prodotti nel carrello e la cifra che stai spendendo. Inoltre sono presenti le stesse informazioni d’acquisto (modalità e tempi di spedizione) che trovi nella product page sia a livello di format (cioè di impostazione visiva), che di icone e copy quindi sono informazioni che rimangono molto facili da digerire.
- Mentre scrolli il Cart, è sempre presente la call to action “Vai alla cassa” oppure “Pay with Paypal”, metodo di pagamento veloce e sicuro, molto utilizzato dai giovani. Clicco e vado al check-out.
- Check out disponibile con o senza registrazione o addirittura puoi velocemente loggarti attraverso i socialnetwork di cui ti sono mostrate le icone.
- Form essenziale e semplice: se decidi di registrarti, il processo sarà molto veloce. Ti verranno richieste solo le informazioni più importanti e potrai visualizzare nel mentre (grazie a una barra progressiva in alto) gli step rimanenti per completare e confermare l’ordine. Questa scelta aiuta molto a livello cognitivo.
Come si vendono le macchine online? Il persuasive design nel settore automotive.
Comprare un’auto è uno dei momenti più importanti nella nostra vita, sia per l’investimento economico, che per quello psicologico che ne deriva. Le opzioni tra cui è possibile scegliere sono pressoché infinite.
Negli ultimi anni il settore dell’automotive sta evolvendo e buona parte del merito lo dobbiamo all’e-commerce: una ricerca Nielsen ha svelato come Internet, indipendentemente dalla volontà del cliente di scegliere un veicolo nuovo o usato, sia il canale sempre più decisivo per indirizzare la scelta di un’auto. Il dato è sicuramente destinato a crescere.
Oltre al celeberrimo caso di Tesla, che vende auto esclusivamente su Internet, altri esempi di successo non sono mancati nel recente passato:
- Nel 2017 Garage Italia Customs, l’azienda specializzata nella personalizzazione di auto che ha in Lapo Elkann il suo Direttore creativo, in collaborazione con il Gruppo Volkswagen ha messo in vendita esclusivamente su Amazon due edizioni speciali della Volkswagen T-Roc: 50 esemplari di T-Roc Black, disponibile durante il Black Friday, e 50 di T-Roc Cyber, acquistabile durante il Cyber Monday.
- Alfa Romeo, in occasione del debutto su Tmall, piattaforma del gruppo Alibaba, nel tempo record di 33 secondi ha venduto 350 vetture modello Giulia in edizione limitata ‘Milano’ al prezzo di circa 63mila dollari ciscuna e 60 Giulia Quadrifoglio Verde al prezzo di quasi 150mila dollari.
- Sempre in Cina, nel 2016, sono andate a ruba 100 Maserati in 18 secondi sempre sulla piattaforma Tmall.
Questi casi dimostrano da una parte la crescita del commercio online per le auto, dall’altro il cambiamento per le concessionarie fisiche che restano sì importanti, ma vireranno sempre più verso i servizi di assistenza e consulenza.

Un’altra delle principali cause di questa evoluzione del settore online è la continua digitalizzazione delle persone, che stanno interiorizzano modelli di scelta e di acquisto dei prodotti di largo consumo e li stanno applicando a processi ben più complessi, come appunto quello della ricerca di un’auto. L’utente ormai considera l’e-commerce come un’opportunità più che un rischio.
Quindi, dopo essersi informati online sul modello, aver raccolto testimonianze e recensioni positive di altri utenti sui social (fenomeno misurabile fin dagli albori delle community agli inizi degli anni 200), aver parlato in video chat con un rappresentante della casa automobilistica e magari effettuato un test-drive virtuale, una buona parte degli automobilisti mondiali comprerebbe l’auto con un clic.
Anche alle case produttrici e alla filiera in generale (compreso le concessionarie) viene chiesta una sempre maggior qualità nella gestione del cliente. Qualità che non dipende esclusivamente dalle valutazioni più razionali come il rapporto qualità-prezzo, ma dalla velocità dei tempi di risposta e contatto, e quindi, dalla focalizzazione su tutti gli step della customer journey.
Per aumentare la lead generation online ci si deve proporre due obiettivi: il primo è quello di catturare l’attenzione di quegli utenti che sono più indecisi; il secondo è quello di fornire del contenuto in grado di aumentare l’engagement a quegli utenti già decisi. Tutto ciò con l’obiettivo di trasformare richieste di preventivo in richieste di acquisto. Vediamo come raggiungere questi obiettivi.Fai un uso sapiente dei Bias Cognitivi
Per andare in contro al primo obiettivo, prendiamo come esempio il portale DriveK (che conosciamo solo come utenti, non avendo collaborato al progetto) che sfrutta i bias cognitivi tipici dei consumatori che sono soliti acquistare online (l’avversione alla perdita, il bias di ancoraggio, l’effetto carrozzone…) per generare un senso di urgenza nella mente dell’utente che sta navigando il sito o la app.
Vengono utilizzate alcune tecniche persuasive (come booking fa sul suo sito, anche se ai limiti del dark pattern), del tutto trasparenti, ma allo stesso tempo molto sottili ed efficaci. Prese tutte insieme, queste tecniche insinuano nella testa dell’utente un’urgenza nel richiedere un preventivo e ad affrettarsi a essere il primo.
Abbiamo individuato i principali segnali persuasivi utilizzati in quest’ottica (in DriveK i più interessanti sono situati all’interno della sidebar della scheda prodotto):
- “Ultimo preventivo richiesto 10 min fa a Potenza”
- “Risparmia fino a”
- “Super richiesta”
- “50 persone stanno guardando quest’auto”
- “243% di richieste in più questa settimana”
- “Sii il prossimo!”
- “Mancano 16 giorni, affrettati”
- “N°1 citycar”
- “L’auto più richiesta del mese”
- “Il crossover più richiesto del mese”
- “Fiat Panda Pop tua a 8.300€ con Be-Smart di FCA Bank!”
- label “promo” in card prodotto

Il principio dell’urgenza è il più utilizzato e si aggancia ad altri pregiudizi cognitivi come la riprova sociale (se un veicolo viene spesso richiesto, significa che molte persone lo hanno già visualizzato e di conseguenza siamo portati a ritenerlo come un prodotto di valore), la scarsità, e l’avversione alla perdita (pensare di poter perdere un’opportunità porta l’utente ad agire per evitare che questo accada).
In aggiunta, per generare nell’utente un senso di risparmio, in tutte le card in promozione vengono mostrati i prezzi originali barrati e vengono inseriti in rosso la percentuale dello sconto e il prezzo scontato.
Ora che hai ingaggiato l’attenzione dell’utente, vediamo come perseguire il secondo obiettivo che è quello di aumentare l’engagement.
Arricchisci i tuoi contenuti
Continuando ad usare DriveK come esempio, molti sono i materiali a disposizione per arricchire il contenuto: immagini, 360°, video recensioni… L’utente ha a portata di mano schede prodotto complete di materiale visivo, in grado di supportare la sua scelta ed indirizzarlo verso la richiesta di preventivo. Questo gli permette di immedesimarsi con l’oggetto di valore e di scegliere il veicolo più adatto alle sue esigenze.
L’impatto dei contenuti è notevole, in particolare quando si entra nella scheda di dettaglio del veicolo. Il 360° occupa quasi tutta la prima view, concentrando tutta l’attenzione dell’utente sulla consultazione delle foto. Buona parte delle schede prodotto ha il 360°, sia degli esterni (con visualizzazione a portiere aperte e chiuse) che degli interni. Una fetta di queste schede propone anche delle video recensioni. Già a partire dal listing è possibile sapere se la scheda prodotto è provvista di video e di 360°.
Usa CTA chiare e ben visibili
DriveK ha effettuato una scelta “imprudente” nella versione desktop nascondendo la CTA (call to action) primaria “scopri il prezzo”. L’esperienza ci dice che questa non sia una scelta del tutto corretta se si vuole perseguire l’obiettivo di fornire fin dai primi secondi all’utente l’azione che ci si aspetta da lui nella pagina in cui si trova (in questo caso, richiedere un preventivo).

Una CTA chiara infatti rappresenta quella indicazione comportamentale di cui l’utente ha bisogno per “dare un senso” alla propria navigazione.
Vediamo, al contrario, che questa rimane nascosta nella prima view e diventa ben visibile solamente dopo il primo scroll della pagina. A quel punto rimane ancorata lungo tutta la scheda prodotto (fra l'altro l'elemento che accompagna l'utente nello scroll si modifica in tempo reale per presentare sempre il nome del modello della macchina che si sta studiando).
Viceversa nella versione mobile della pagina la CTA rimane ancorata alla tab-bar del browser fin dall’inizio.
Personalizza l’esperienza utente
DriveK cerca di personalizzare l’esperienza dell’utente e lo fa in due modi diversi. Il primo consiste nello sfruttare l’algoritmo che sta dietro la funzionalità “trovauto” all’interno della app, che consente di suggerire i modelli più adatti alla personalità dell’utente e di suggerire delle alternative in linea con i gusti. Il secondo modo sfrutta la geolocalizzazione, mostrando le offerte migliori vicino alla posizione dell’utente e suggerendo i dealer più vicini a lui durante la richiesta di preventivo.
Un approccio più specifico di personalizzazione è stato offerto, invece, dal sito francese Toyota che, grazie alla tecnologia Kameleoon, ha fatto uso del Predictive Targeting per aumentare la propria lead. L’obiettivo è sempre quello di ricevere più richieste possibili di test drive ma il brand preferisce personalizzare l’esperienza di navigazione del sito solo a quegli utenti che dimostrano un vero interesse nei confronti di Toyota.
Per fare ciò, hanno deciso di mostrare un pop-up personalizzato solo agli utenti che hanno determinati requisiti, che hanno visitato n volte la pagina del configuratore e che hanno passato n tempo sulla scheda prodotto del modello. Solo quando vengono raggiunte queste condizioni, viene mostrato un pop-up con il suggerimento di un test-drive per il veicolo d’interesse, nel concessionario più vicino all’utente.

Per concludere abbiamo chiesto un parere sul settore a Pepe Moder, Partner & Founder Imaginars, data la sua lunga esperienza nel settore (Pirelli, FCA,...):
Per chiudere il cerchio, dopo ore investite online a completare il processo di scelta, è fondamentale fornire al cliente un’esperienza senza barriere tra i canali: la configurazione diventa un QR code disponibile sullo smartphone che, una volta in concessionaria, permette di richiamarla e di completare l’ordine con il responsabile commerciale. Non c’è nulla di più frustrante per chi acquista di dover ogni volta ricominciare daccapo l’intero processo. Questa operazione permette anche di arricchire con numerose informazioni estremamente preziose il CRM e la customizzazione delle successive navigazioni sul sito.
6 consigli per copy efficaci nelle schede prodotto ecommerce
Oggi più che mai la maggior parte delle persone effettua i propri acquisti online e vuole essere certa e sicura delle proprie scelte. Ecco perché è importante usare degli accorgimenti utili e al tempo stesso efficaci per poter assicurare un processo di vendita chiaro e lineare.
La scheda prodotto di un sito e-commerce, in particolare, è molto spesso trascurata perché è l’ultimo punto della struttura di un negozio online, eppure è l’elemento più importante se alla fine si vuole raggiungere l’obiettivo di vendere. E questo per due motivi:
- rappresenta un passaggio critico e centrale nell’esperienza di vendita di un prodotto;
- è un punto di convergenza tra i bisogni informativi degli utenti e gli obiettivi di business dell’azienda.
La scheda prodotto è un mix di parole, immagini e altri contenuti multimediali che contribuisce in maniera definitiva a concludere un acquisto.
La ragione che spinge a privilegiare i canali online rispetto ai consueti punti di vendita fisici è la convenience – ovvero il mix di comodità del servizio a distanza, la praticità e l’accessibilità ai beni e ai servizi.
I dati raccolti da Netcomm (Net Retail 2016) sembrano però dimostrare che un alto tasso di utenti non reputa sufficientemente chiari i contenuti del sito per la scelta del prodotto.
Ecco la classifica dei principali inibitori nel processo di acquisto online.
- Pagamento (40%);
- Lentezza o Blocco (28,3%);
- Processo (8,3%);
- Chiarezza (6,7%);
- Usabilità (5%);
- Costo (3,3%);
- Disponibilità (3,3%)
- Altro (5%)
La chiarezza in termini linguistici della descrizione del prodotto sembra ancora incidere molto nelle scelte degli utenti con un indice pari al 6,7%, maggiore di quello del costo del prodotto!
Da qui la necessità di avere descrizioni sempre più precise, chiare e dettagliate sulle specifiche di beni o servizi, per sopperire alla mancanza di un reale contatto fisico con l’oggetto di interesse e all’impossibilità di rivolgere domande chiarificatrici ad una persona in carne ed ossa.
Come costruire una scheda prodotto rassicurante, persuasiva e convincente? Ecco i 6 consigli per sbaragliare la concorrenza.
Oltre alla necessità di scrivere contenuti coerenti col brand e il suo posizionamento, può esserti utile soffermarti su alcuni suggerimenti per migliorare i tuoi copy persuasivi (vedi anche il nostro articolo sul tema).
1) Punti solo sulla qualità? Potrebbe essere un errore!
Dopo aver studiato a fondo il catalogo dei prodotti si cercherà di esaltarne e valorizzarne i punti forza di ogni singolo componente.
Esaltare i vantaggi e sfruttare le caratteristiche esclusive del prodotto, sarà di aiuto per gli utenti in termini di qualità.
Attenzione!
La qualità è un elemento importante e indispensabile, così tanto da non doverne abusare! Il continuo richiamo alla qualità del prodotto infatti potrebbe generare un effetto contrario all’obiettivo prefissato. Inoltre è un termine che se utilizzato in modo generico non significa nulla, risultando quanto di più vago e debole possa esistere.
Ci sono utenti che acquisterebbero prodotti non di qualità? No di certo. Tutti mostrano interesse per il meglio e che sia il meglio possibile. Una specifica quindi da dover usare con parsimonia ed estrema cura.
2) Vuoi essere "esaustivo"? Basta chiedere!
Ovviamente tutti cercheranno di fornire informazioni puntuali, veritiere e precise sul proprio prodotto, ma è necessario capire se effettivamente le informazioni riportate all’interno del testo della scheda prodotto siano rispondenti ai reali bisogni degli utenti.
Gli utenti non hanno idea di quali e quante informazioni saremmo in grado di fornire e probabilmente se gliele fornissimo TUTTE sarebbero TROPPE e finirebbero ancora una volta con l’abbandonare l'acquisto.
La soluzione è effettuare survey frequenti per verificare eventuali dubbi e perplessità che possono nascere durante l’esperienza d’acquisto, magari attivando la richiesta dinamicamente in tempo reale (real time trigger) proprio verso quegli utenti che stanno abbandonando il processo per comprendere se ci sono informazioni che mancano.
3) Presta attenzione all'ordine con cui esponi i concetti.
Se ho, ad esempio, 5 cose importanti da dire su un prodotto, non basta dirle tutte, devo sapere anche in che ordine dirle, in modo da risolvere i bisogni dell'utente nel giusto ordine di priorità.
Innanzitutto bisogna chiarire in modo inequivocabile in modo che sia leggibile in 100-200 millisecondi di cosa parliamo. Per questo in molti siti il titolo della pagina prodotto è già in realtà una descrizione di marketing breve.
Ma come proseguire nella descrizione del prodotto in una descrizione più articolata? Anche in questo caso è utile non decidere la sequenza "nelle segrete stanze" del marketing ma chiedere agli utenti e effettuare frequenti A/B test: con una survey possiamo chiedere l'ordine delle priorità, in modo da riportare in primis le informazioni più importanti e solo in seguito ci si potrà concentrare sui dettagli e riportare specifiche aggiuntive.
Una serie di A/B test molto semplici che mettano a confronto due pagine in cui l'ordine dei concetti viene cambiato di volta in volta ci potrà confermare di essere sulla strada giusta.
In GreatPixel abbiamo sperimentato la personalizzazione di sequenze diverse su diversi target, ottenendo ottimi benefici in termini di conversion rate da queste personalizzazioni.
4) Sii unico, sii creativo
Un bravo copy non dovrebbe mai per nessun motivo copiare (scusate il gioco di parole) o prendere spunto da altri siti e-commerce. Così come dovrebbe evitare di ricorrere a frasi fatte, banali e luoghi comuni.
E non parliamo solo dell'utilità della creatività per il coinvolgimento dell'utente ma anche dei vantaggi per il posizionamento del sito nei motori di ricerca.
5) Trasforma i tecnicismi in consigli e occasioni d'uso
Salvo che il prodotto o il target si aspettino contenuti altamente tecnici, utilizzare un linguaggio semplice, una scrittura diretta e frasi brevi è il modo migliore per redigere una scheda prodotto.

È molto utile trasformare le caratteristiche tecniche in bisogni concreti ed esempi di utilizzo:
- 1 Gb di banda internet = "tutti i membri della famiglia guardano le proprie serie preferite contemporaneamente"
- Spazio di archiviazione illimitato = "libera il tuo telefonino dalle foto in eccesso e sii pronto per ogni nuova occasione che merita uno scatto"
- Tariffa agevolata nella fascia diurna = "per chi vive la propria casa anche di giorno"
- Tessuto tecnico waterproof = "mai più sorpreso dai temporali di montagna"
6) Non pensare solo a "cosa scrivere", ma a "come sarà letto"
Anche l’editing del testo risulta essenziale: data la lettura non lineare da parte degli utenti, sarebbe utile impiegare elenchi puntati o numerati per schematizzare le informazioni più importanti all’interno della scheda prodotto e sfruttare il grassetto, vantaggioso per evidenziare parole e concetti chiave da mettere in risalto.
Spesso si potrebbe cedere alla tentazione di realizzare schede prodotto composte da paragrafi di testo monoblocco, ma frasi troppo lunghe distolgono l’attenzione dell’utente, rischiando così di divulgare anche concetti contorti e poco chiari che non aiutano l’esperienza d’acquisto.
E tu? Hai già verificato l’efficacia delle tue schede prodotto? Ti sono stati utili questi consigli? Faccelo sapere!