Questo articolo è stato scritto da Alessia Grimaldi Digital Copywriter GreatPixel 

Parlare a tuttə o a chiunque? Il linguaggio inclusivo oltre lo schwa.

Le lingue sono un potente strumento di cambiamento sociale: seguono i mutamenti del tempo e riflettono la sensibilità dei parlanti.

Negli ultimi anni stiamo assistendo, soprattutto sul web e sui social, al tentativo della lingua italiana di farsi sempre più inclusiva, riflesso di una crescente sensibilità comune, nonostante le difficoltà strutturali e le ritrosie dei più puristi.

Ecco quindi che è ormai frequentissimo, soprattutto nel digitale, leggere parole con asterischi, chiocciole, schwa e altri segni grafici a indicare questo tentativo.

Per capire il fenomeno dobbiamo però partire dal capire da dove deriva la necessità di scrivere in modo inclusivo.

Cos’è un linguaggio inclusivo?

Un linguaggio è inclusivo quando non esclude o discrimina nessuno sulla base di parametri come sesso, orientamento sessuale, identità di genere, età, etnia, aspetto fisico, stato sociale o disabilità.

Capiamo quindi come l’identità di genere non è l’unico fattore da tenere in considerazione. Specialmente quando ci si occupa di comunicazione è importante avere cura delle parole che si usano, per non rischiare di escludere nessuna persona dal proprio messaggio.

Vediamo che strumenti ci offre l’italiano in tal senso.

Quanto è inclusivo l’italiano?

L’italiano è una lingua flessiva che declina per genere – maschile o femminile – le parti variabili del discorso. Questo binarismo di genere rende difficile parlare in modo indefinito rispetto a una persona.

Non esistendo in italiano un genere neutro, spesso per comodità viene utilizzata la forma maschile per riferirsi a moltitudini miste o gruppi di persone di cui non si conosce il genere. È il cosiddetto maschile non marcato o “maschile neutro”, che osserviamo per esempio nell’uso di “uomini” col significato di esseri umani, o nel caso di participi o aggettivi in frasi come “Marta e Luca sono usciti”, “Paolo e Alice sono fratelli”.

Vi sarà di certo capitato di osservare l’uso esclusivo del maschile nel linguaggio burocratico-amministrativo (il candidato, lo studente, il dipendente).Il maschile sovraesteso è una consuetudine, è automatico ed è comodo. Non è però inclusivo. È una struttura che appare sempre meno adeguata a parlare di e con tutte le persone, soprattutto quelle meno rappresentate.

Un’alternativa più inclusiva sarebbe usare la tecnica dello sdoppiamento, ovvero adoperare una forma doppia, “gli studenti e le studentesse”, che però risulta ridondante (pensate di dover utilizzare questo espediente in un testo molto lungo, ogni qualvolta si presenti la necessità di disambiguare) nonché insufficiente: esclude, infatti, quella percentuale di persone non binarie, che non si identificano né nel genere maschile né in quello femminile.

È quindi l’italiano stesso una lingua poco inclusiva? No, piuttosto lo è l’uso che se ne fa.Tuttavia, nonostante questi limiti strutturali e di abitudine, assistiamo al tentativo di ricercare nuove modalità, dentro e fuori dalla lingua italiana, per provare a renderla più inclusiva. Per esempio avrete sicuramente sentito parlare dello schwa.

Cos'è lo schwa e come si pronuncia?

Lo schwa /ə/ non è un segno nuovo, inventato da chi fa attivismo a sostegno della causa dell’inclusività.

È una vocale presente dalla fine dell’800 nell’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), ovvero il sistema che rappresenta i suoni di tutte le lingue e viene rappresentata come una e rovesciata. Deriva dalla parola ebraica shĕvā, “insignificante”, “nulla”.

È una vocale centrale media, suono intermedio tra tutte le vocali, e nello schema dell’IPA viene posizionata al centro:

Essendo la vocale intermedia dell’alfabeto fonetico, quindi suono a metà tra tutti i suoni vocalici delle lingue, in italiano si è iniziato a usare lo schwa in fine di parola come desinenza finale neutra, priva di qualsiasi valore di genere.

Vi starete chiedendo come si pronuncia. Molto semplicemente, tenendo la bocca rilassata con le labbra leggermente aperte e la lingua abbassata. Il suono che viene emesso è profondo e senza accento e non prevede il passaggio di aria.

Vediamo qualche esempio.

benvenutə a tuttə!

carə amicə

Prontə a scoprirne di più?

Qualcunə ne sa qualcosa?

Lo schwa nelle altre lingue

Lo schwa è quindi il segno grafico di un suono che troviamo naturalmente in moltissime lingue del mondo.

È il suono vocalico più diffuso nella lingua inglese, basti pensare alla “a” di about, la “e” di father o la “u” di but.

È ricorrente anche in moltissime altre lingue come il tedesco, l’ebraico, l’olandese, il norvegese, l’albanese, il bulgaro, il rumeno, il catalano, l’hindi e altre ancora.

In italiano, invece, è presente solo in alcune varietà di dialetto meridionale parlato come il napoletano (buonə col significato di buono o buona).

La linguista Vera Gheno si è detta una grande sostenitrice dello schwa come un arricchimento della lingua, perché rappresenta la vocale media per eccellenza e ha proposto di usarlo per sostituire, in determinati contesti, il maschile generalizzato. L’Accademia della Crusca ha però preso le distanze da questa eventualità.

Tuttavia, non possiamo fare a meno di analizzare il fenomeno perché ormai ha preso sempre più piede, se non sulla carta stampata almeno sui social e sul web.

Ma perché lo schwa diventa simbolo di inclusività?

Lo capiamo bene guardando gli esempi: non è una a e nemmeno una o, sta esattamente a metà strada tra femminile e maschile.

L’aspetto interessante è, anche, che lo schwa viene utilizzato non solo come segno grafico, ma anche fonetico. È di fatto un suono pronunciabile dalla bocca umana e quindi può essere replicato anche nel parlato.

Ma lo schwa non è la sola proposta per un linguaggio inclusivo.

Le altre proposte grafiche

Nello scritto, al posto della vocale finale, vengono spesso usati simboli come l’asterisco, la chiocciola o un trattino. Si tratta solo di simboli grafici che non vengono pronunciati nella lettura.

Benvenut* a tutt*

Benvenut@ a tutt@

Benvenut- a tutt-

In alternativa, possiamo trovare anche le lettere -x e -y usate come desinenza neutra. 

Grazie a tuttx

Grazie a tutty

Di più facile lettura e scrittura, ma non priva di criticità, la desinenza in -u, Benvenutu, che ricorda alcuni dialetti come il sardo o il salentino. Qualche problema si evidenzia nella confusione tra singolare e plurale e nello sbilanciamento verso la -o del maschile.

Quali criticità emergono?

Le opzioni non mancano, tuttavia occorre fare un passo indietro.

Se riprendiamo la definizione di inclusività che abbiamo visto all’inizio, ci rendiamo conto di come non sia legata solo all’aspetto di genere, ma implica lo sforzo di parlare a tutte le persone, superando qualsiasi barriera fisica o sociale.

L’inclusività non passa solo dalle parole che scegliamo ma anche dalla forma in cui queste vengono usate. Specialmente se si scrive per il web, un testo si può dire pienamente inclusivo nel momento in cui ogni persona è in grado di fruirne.

Le precedenti soluzioni grafiche risultano difficili da decifrare, per esempio, dai sistemi di lettura automatica per ipovedenti o dalle persone dislessiche. 

Lo schwa include dal punto di vista del gender, ma allo stesso tempo taglia fuori altre categorie di persone per differenti motivi.

Inoltre, sebbene lo schwa non costituisca un problema da un punto di vista di indicizzazione SEO perché è di fatto un segno equivalente a una qualsiasi lettera dell’alfabeto o a un numero, Google considera “amico”,”amica” e ”amicǝ” parole diverse con volumi di ricerca diversi.

Ciò ci pone di fronte a uno sforzo più difficile: approfondire le potenzialità della lingua italiana.

Strategie per essere inclusivi oltre lo schwa

È vero, in italiano il maschile è una comoda convenzione grammaticale. Tuttavia, la nostra lingua ci offre tante soluzioni per aggirare il maschile sovraesteso ma anche, e più precisamente, il binarismo di genere.

Alcune strategie possono essere: utilizzare perifrasi, forme impersonali, omettere i pronomi, preferire i verbi ai participi, scegliere aggettivi ambigeneri.

Ecco qualche esempio:

Cosa fanno le altre lingue?

Molte lingue hanno già trovato delle soluzioni, spesso interne alla grammatica, per parlare in modo più inclusivo.

In inglese si è affermato in modo spontaneo il singular they come pronome non marcato per riferirsi a persone non-binary o di cui non si conosce il genere.

Questo uso è sostenuto dalle istituzioni linguistiche più importanti e utilizzato anche nei testi ufficiali e nel 2019 They è stato eletto parola del decennio dalla American Dialect SocietyPer dare idea del rispetto della lingua inglese per l’identità di genere, pensate che è consuetudine specificare nella firma i propri pronomi, anche nei documenti ufficiali. 

In italiano they non è traducibile con “loro” o “essi” perché appunto ha valenza di pronome singolare neutro, ostacolo tuttavia aggirabile dato che in italiano i pronomi si possono omettere.

In spagnolo è diffuso l’uso di elle al posto di él o ella. La desinenza -e viene usata in sostituzione di -o e -a, che come in italiano designano maschile e femminile: per esempio, al neutro todos diventa todes. Sebbene questi usi siano ormai affermati nel parlato, la Real Academia Española non li ha ancora ufficializzati nelle grammatiche.

L’Accademia svedese, dopo averne constatato l’uso diffuso tra la popolazione, nel 2015 ha aggiunto al dizionario ufficiale il pronome neutro hen, creato a partire dal maschile han e dal femminile hon. Hen viene utilizzato quando non ci si riferisce né a un lui né a una lei, se chi scrive pensa che il genere sia irrilevante per la storia oppure se il genere è sconosciuto. Per fare un esempio, nel famoso libro per bambini Kivi & Monsterhund (2012) viene usato il pronome hen.

E ancora, nella Cina continentale si è invece diffuso in modo autonomo il pronome ta per quei casi in cui il genere di una persona è ignoto o irrilevante. Come vediamo dagli esempi, già moltissime lingue rivelano una sensibilità al tema dell’inclusione e generano tentativi o soluzioni linguistiche per manifestarla.

In italiano sembra più complesso adottare pronomi neutri e la grammatica sembra essere molto conservativa rispetto a queste aperture. Ciò tuttavia non frena i fenomeni già in atto, perlopiù grafici, di cui abbiamo parlato in precedenza.

Conclusioni

Il linguaggio è affermazione. Nominare le cose vuol dire farle esistere.

Il linguaggio inclusivo non è un trend passeggero, ma una necessità sociale per quelle persone che non si sentono rappresentate dalle strutture linguistiche esistenti.

Lo schwa e gli altri segni grafici non sono forse la soluzione definitiva al binarismo della lingua italiana, ma sono un tentativo di dare concretezza linguistica a mutamenti già in atto nella società.

I cambiamenti a livello morfologico sono sicuramente più complessi da introdurre nelle lingue. Abbiamo però visto che ci sono alternative interne all’italiano per aggirare il problema. Non si chiede una rivoluzione dell’italiano ma attenzione, sensibilità e un uso consapevole delle parole per evitare di farne, anche involontariamente, un utilizzo discriminante.