Questo articolo è stato scritto da Marco Gaggiano, ex studente del Master in Comunicazione Digitale, Mobile e Social all’Università degli Studi di Parma, e fa parte di una serie di post dedicati al presente e al futuro della customer experience.

Nato in Puglia nel 1991, ho attraversato lo stivale per studiare ingegneria a Torino. Negli anni universitari ho iniziato a coltivare una forte passione per il digital marketing, che col tempo si è trasformata nel mio lavoro. Bologna è la mia nuova casa, tecnologia e fotografia i miei più grandi passatempi.

Marco Gaggiano

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Il ruolo dei brand è di ricreare le condizioni perché le persone riportino spontaneamente l’attenzione sui prodotti non-emergenziali.

Covid-19: i brand e le persone, Ogilvy Consulting

Il “modello del formaggio svizzero”, adattato al coronavirus dal virologo Ian M. Mackay, illustra con chiarezza perché solo l’unione di una serie di prescrizioni e interventi riesce a contrastare efficacemente l’avanzamento della pandemia. D’altro canto, come sappiamo, la sua applicazione ha provocato pesanti ricadute sul settore del Retail. 

I negozi fisici hanno dovuto attuare procedure rigide per garantire il distanziamento e la sanificazione costante degli ambienti: tamponi rapidi, ingressi contingentati, misurazione della temperatura, gel disinfettante, segnaletica sui pavimenti e protezioni in plexiglass alle casse sono solo alcune delle misure adottate per salvaguardare la salute dei clienti e dei dipendenti. 

Grandi colossi sono stati costretti a valutare un completo riassetto della rete di distribuzione. Un esempio su tutti: Inditex, gruppo spagnolo a cui fanno capo brand del fast fashion come Zara, Pull&Bear e Bershka, la scorsa estate ha annunciato la chiusura di 1200 negozi e il contemporaneo potenziamento dei canali di vendita digitali. Una scelta drastica, accompagnata alla fine dell’anno fiscale da un calo del 70% dell’utile netto rispetto al 2019, che solo il boom delle vendite online è riuscito parzialmente ad addolcire.  

I negozi fisici al servizio dell’e-commerce

In apparente controtendenza con la situazione appena esposta, ad ottobre Zara ha inaugurato uno store a Pechino. Con 350 metri quadri su quattro livelli, è il suo maggiore punto vendita in Asia. Postazioni per i pagamenti rapidi, area dedicata all’evasione degli ordini online, showroom delle ultime collezioni acquistabili su www.zara.com contribuiscono a restituire al cliente un percorso perfettamente integrato con quello digitale.

Nel futuro prossimo del commercio al dettaglio il negozio fisico si trasformerà sempre più in un hub di supporto all’ecommerce, associando alle operazioni logistiche del dark store il carattere di esperienzialità del phygital shopping riducendo, allo stesso tempo, le possibilità di contatto fisico e il rischio di contagio. 

Nel suo primo articolo dedicato all’impatto del Covid-19 sulla customer experience, McKinsey ha citato il caso del punto vendita Nike nel quartiere SoHo di New York, che permette di provare le scarpe in ambienti sportivi simulati con l’assistenza di un personal trainer. 

FONTE IMMAGINE: Nike News

Ma possiamo prendere in considerazione anche i negozi Amazon Go, dove al cliente basta scansionare i codici dei prodotti scelti per pagare attraverso canali digitali senza passare dalle casse, o il progetto degli “smaller format IKEA store” all’interno delle grandi città, in cui all’approccio omnicanale si aggiungeranno servizi come la progettazione degli spazi interni e il noleggio degli arredi.

I tech touchpoint abbattono le distanze

Tecnologia e innovazione si dimostrano, ancora una volta, gli unici abilitatori capaci di garantire una shopping experience compatibile con le limitazioni imposte dalla Low Touch Economy. 

Il viaggio del cliente si arricchisce di nuovi touchpoint in grado di restituire immediatezza e immersività in ogni fase del percorso d’acquisto, sia in presenza (quando consentito) che a distanza:

  • chatbot per l’assistenza pre e post-vendita;
  • touchscreen per gli acquisti in modalità self-service;
  • sistemi di gestione delle code virtuali e di prenotazione degli appuntamenti con uno shop assistant;
  • showroom virtuali in videocall o in live streaming;
  • soluzioni di realtà aumentata, realtà virtuale e mixed reality per l’osservazione, la personalizzazione e la prova dei prodotti;
  • mobile wallet per i pagamenti in sicurezza;
  • droni per il delivery dell’ultimo miglio.

Paid media vs Owned media

Nel 2020 il numero di utenti connessi a internet e attivi sulle piattaforme social, il tempo speso nelle attività digitali e il consumo di contenuti online sono aumentati considerevolmente. Di conseguenza, le aziende hanno incrementato i volumi di investimento sugli owned media e nel digital advertising.

motori di ricerca continuano a costituire il canale preferenziale per la scoperta e la ricerca di brand e la visita al sito web dell’azienda supera di gran lunga qualsiasi altra attività online brand-related, ma la social search registra un trend in crescita tra le giovani generazioni. Se a ciò aggiungiamo l’importanza e le potenzialità (ancora parzialmente inespresse) di strumenti di social commerce come Facebook e Instagram Shops, capiremo perché nei prossimi 5 anni un quarto del budget riservato alle operazioni di marketing potrebbe essere destinato ai social media.

Tuttavia, bisognerà fare i conti con il fenomeno crescente della sovrapposizione dei pubblici: già oggi il 98% degli utenti attivi su una piattaforma lo è anche su un’altra e ogni persona possiede in media 8 diversi account.

La soluzione può essere: ricercare un solido equilibrio tra presenza organica e a pagamento ed evitare che i consumatori siano esposti più volte, su canali diversi, agli stessi contenuti. Questi sono sforzi strategici che i content manager non potranno ignorare. Perché la qualità della comunicazione di un brand non è più solo un requisito sufficiente a decretare il successo o il fallimento di una campagna di marketing, ma un indicatore chiave dello “stato di forma” di quel brand.