Questo articolo è stato scritto da Marco Gaggiano, ex studente del Master in Comunicazione Digitale, Mobile e Social all’Università degli Studi di Parma, e fa parte di una serie di post dedicati al presente e al futuro della customer experience.

Nato in Puglia nel 1991, ho attraversato lo stivale per studiare ingegneria a Torino. Negli anni universitari ho iniziato a coltivare una forte passione per il digital marketing, che col tempo si è trasformata nel mio lavoro. Bologna è la mia nuova casa, tecnologia e fotografia i miei più grandi passatempi.

Marco Gaggiano

Il Covid-19 ha modificato profondamente e rapidamente i modi (le fasi del customer journey) e i luoghi (i touchpoint) di interazione tra i brand e le persone. All’improvviso siamo stati costretti a stravolgere le nostre abitudini e le pratiche più consolidate di consumer behaviour, per accogliere le nuove routine del mondo low touch e contactless.

Da subito le aziende hanno dovuto interrogarsi su come riuscire a fornire risposte efficaci ai propri clienti e gestire la distruption generata dall’emergenza sanitaria. Già ad aprile McKinsey indicava quattro linee di scenari strategico-operativi per guidare i brand verso il New o Next Normal.

Negli appuntamenti che seguiranno in questa serie di articoli dedicati alla customer experience che ci aspetta, proveremo ad esaminare l’impatto del coronavirus sulla customer experience e ad approfondire i maggiori trend per il 2021. 

Spoiler alert 🙂 parleremo di: 

  • responsabilità sociale dei brand
  • innovazione agile
  • omnicanalità
  • evoluzione dei touchpoint fisici e digitali

e di tanto altro ancora. Ma prima, è necessario uno piccolo sforzo di contestualizzazione: come si è evoluto il modo di pensare alle esperienze, in particolare ai customer journey?

Breve storia dei customer journey

Il customer journey è il processo che caratterizza l’interazione tra consumatore e azienda e che termina con l’acquisto.

In principio, fu il Modello AIDA. Dall’ottocento a oggi, un framework che ha fatto la fortuna di molti pubblicitari ed esperti di strategie di marketing, che continua a essere un buon punto di partenza per impostare una strategia in grado di mappare il viaggio del cliente nel suo percorso verso la conversione.

In uno scenario sempre più ricco di contenuti di touchpoint, le fasi di post-vendita e di advocacy hanno via via acquistato sempre più importanza.

In realtà, già nel 2005 P&G aveva proposto un approccio differente nella schematizzazione del customer journey, iniziando ad allargare lo sguardo verso l’esperienza immediatamente successiva all’acquisto e introducendo per la prima volta il concetto di momento di verità (moment of truth).

  •    nel FMOT (First Moment of Truth) il consumatore è davanti allo scaffale e sceglie il prodotto da portare a casa;
  •    nel SMOT (Second Moment of Truth) ha la possibilità di verificare, con l’utilizzo o con il consumo del prodotto, se le sue aspettative sono state soddisfatte o meno.

Nel 2011 Google, con lo ZMOT (Zero Moment of Truth) ha poi voluto descrivere uno stadio aggiuntivo nel quale il consumatore, spinto da uno stimolo iniziale, interroga la rete per avere indicazioni prima di entrare in contatto fisico col prodotto.

L’UMOT (Ultimate Moment of Truth) completa lo schema. Un momento identificato da Brian Solis, global futurist di SalesForce, prendendo in considerazione il feedback positivo o negativo espresso dal consumatore che diventa allo stesso tempo the next person’s ZMOT.

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Cosa succede nel 
messy middle

Il modo in cui le persone prendono decisioni è caotico e lo diventerà ancora di più.

I concetti appena illustrati sono alla base della progettazione di ogni customer journey map. Ma negli ultimi tempi, i professionisti del marketing sono chiamati ad affrontare un nuovo livello di complessità: comprendere il messy middle. A luglio 2020, infatti, Google ha presentato un report dal titolo “Decoding Decisions. Making Sense of the Messy Middle”, con lo scopo di indagare i meccanismi che guidano il comportamento dei consumatori dallo stimolo (TRIGGER) alla scelta. Ecco il risultato.

Nel centro del percorso, dominato dal caos (da qui “messy middle”), le persone svolgono una serie di attività riconducibili a due schemi mentali:

  •    uno espansivo, l’ESPLORAZIONE;
  •    uno riduttivo, la VALUTAZIONE.

Tali operazioni si ripetono ciclicamente, fino a quando il consumatore non giunge ad una decisione che si concretizza in un’azione d’acquisto. Le scienze comportamentali rivestono un ruolo chiave nei processi di esplorazione e valutazione: abbiamo infatti imparato ad adottare scorciatoie cognitive per riuscire ad orientarci tra un numero sempre crescente di informazioni e di scelte disponibili.

In un esperimento illustrato all’interno del report, gli autori hanno dimostrato come spesso gli acquirenti siano disposti a dare fiducia a brand sconosciuti (o, addirittura, fittizi), a scapito di realtà consolidate in un determinato settore, grazie all’attivazione di uno o più bias cognitivi tra i sei presi in analisi.

Euristica di categoria: una descrizione chiara e concisa di un prodotto facilita la decisione di acquisto. 

Potere dell’immediatezza: la velocità con cui il prodotto può essere usufruito ne incentiva l’acquisto.

Prova sociale: la Social proof è quel fenomeno per cui le persone tendono a ritenere di maggior valore i comportamenti e le scelte di un elevato numero di persone. Un esempio? Il noto “meccanismo di recensioni”, che si basa proprio su questo bias: nessuno può scegliere un prodotto o prenotare un ristorante senza prima aver letto le recensioni!

Bias di scarsità: offerte limitate e numero di articoli rimanenti (se pochi) possono indurre le persone ad una reazione immediata. Inoltre, la scarcity può anche aumentare il valore percepito del prodotto.

Bias di autorità: il bias di autorità si ricollega bene al bias della prova sociale. Infatti, il parere di una persona per noi influente modifica positivamente la propensione all’acquisto. Un esempio sono gli Ambassador e gli Influencer, i quali giocano un ruolo cruciale nel determinare la percezione positiva del prodotto che sponsorizzano.

Potere della gratuità: è sempre meglio dare prima di chiedere. Offrire un omaggio in cambio dell’acquisto di un prodotto incentiva all’acquisto. Avete presente “iscriviti ora e ricevi subito gratis il pdf”? Questa pratica molto diffusa è anche molto efficace perché le persone si sentiranno maggiormente predisposte a ricambiare quello che di fatto assume l’aspetto di “un favore”. 

Come farsi notare nel caos?

Questi ultimi mesi di pandemia hanno provocato un aumento notevole della presenza di contenuti informativi da un lato e del numero di ricerche e acquisti online dall’altro. Per i brand diventa essenziale non solo garantire la presenza in tutte le fasi del percorso d’acquisto senza lasciare zone d’ombra, ma soprattutto fornire un aiuto al consumatore confuso e guidarlo verso la decisione.

Come?

  1.  Avvicinando il momento del trigger a quello dell’acquisto per battere sul tempo i competitor.
  2.  Applicando i principi delle scienze comportamentali per dare forza alla propria proposta, ma in modo intelligente e responsabile. Perché, come vedremo, mai come oggi fiducia ed empatia rivestono un ruolo chiave nelle relazioni tra aziende e consumatori.

Nei prossimi articoli, continueremo questo viaggio all’interno della customer experience e dei customer journey.