A volte succede che due discipline all’apparenza distanti si incontrino con la volontà di raggiungere lo stesso obiettivo, ed è proprio allora che i risultati possono essere sorprendenti. Questa è la storia di quando l’arte di scrivere testi ha iniziato a confrontarsi con le conoscenze e gli strumenti delle neuroscienze. Ma partiamo dall’inizio…

Il neuromarketing è una disciplina che si occupa di studiare il comportamento dei consumatori, utilizzando tecniche e strumenti neuroscientifici, con l’obiettivo di ottenere risposte che sappiano indirizzare efficacemente stimoli e strategie di marketing. Mentre il secondo protagonista della nostra storia è il copywriting, ovvero l’attività che prevede la scrittura di contenuti di comunicazione seguendo specifici obiettivi strategico-commerciali. La combinazione e l’incontro di questi due mondi dà vita al neurocopywriting, dove le analisi svolte dal neuromarketing con strumenti neuroscientifici diventano un vero e proprio supporto per la scrittura di testiRosa Morel è stata la prima persona a tentare di applicare le conoscenze neuroscientifiche alla comunicazione per comprendere i meccanismi psicologici dietro la lettura di ogni contenuto. Il concetto è stato poi ripreso, in chiave differente, anche da Marco La Rosa nel libro Neurocopywriting: come rendere la comunicazione e i contenuti più efficaci con il neuromarketing.  

persona che visualizza un computer ed una schermata con la scritta neuromarketing

Scrivere testi insieme alle neuroscienze

Il neurocopywriting comporta che l’attività di content writing utilizzi le conoscenze acquisite in ambito neuroscientifico e cognitivo con l’obiettivo di migliorare la comunicazione e centrarla sempre più sui reali bisogni dei consumatori

Il neuromarketing, grazie a strumenti e tecniche neuroscientifiche come Eye-Tracker, EEG, Face Reader, Conduttanza Cutanea e molte altre, è in grado di fornire risposte chiare sull’efficacia della comunicazione e dei contenuti testati per arrivare a renderli chiari, facilmente fruibili e vicini alle necessità delle persone. 

Per comprendere perché gli utenti compiono determinate scelte, gli strumenti neuroscientifici sono essenziali: è il nostro cervello a regolare i nostri comportamenti, perciò comprendere come il cervello reagisce agli stimoli di marketing semplifica la comprensione di ciò che è efficace e di ciò che invece è controproducente. 

L’obiettivo che accomuna questi strumenti è individuare le risposte e le reazioni dei soggetti analizzando attenzione, sforzo cognitivo, emozioni e attivazioni psicofisiologiche per ottenere insight preziosi che i metodi di ricerca tradizionali da soli non saprebbero fornire.

 

Strumenti di neuromarketing
  • Eye-tracking —> misura il comportamento visivo e restituisce output sui movimenti oculari per analizzare l’attenzione visiva che nel marketing, oltre ad essere collegata alla brand memory, alla percezione del brand e al decision making, è anche utile ad esaminare la distribuzione dei testi e la loro efficacia. 
  • Analisi EEG —> l’elettroencefalogramma misura le onde cerebrali e le zone del cervello attivate in relazione agli stimoli, ipotizzando il tipo di reazione, il grado di attivazione e di possibile memorizzazione.
  • Analisi conduttanza cutanea —> misura l’attivazione psicofisiologica attraverso la sudorazione della pelle.
  • Analisi respirazione e battito cardiaco —> il battito cardiaco è collegato allo stato di concentrazione, la profondità del respiro è invece correlata al grado di attenzione o di tensione emotiva. 
  • Misura delle micro-espressioni facciali —> i muscoli del volto si muovono in relazione alla tipologia di emozione provata di fronte ad uno stimolo, soprattutto le micro-espressioni che non sono controllabili volontariamente. 

donna con occhiale per il tracciamento visivo all'interno di uno store

Perché si parla sempre di storytelling?

Il racconto è parte integrante dell’esperienza umana, si tratta di un processo di scambio di informazioni che diventa significativo grazie alla sua capacità di stimolare significati, veicolare emozioni e creare connessioni

L’arte di raccontare storie è ciò che si cela dietro a qualsiasi contenuto di comunicazione efficace. Infatti, quando l’obiettivo è quello di trasferire un messaggio, il modo più semplice e immediato per farlo è attraverso una storia in grado di coinvolgere l’ascoltatore

Lo storytelling non è un’attività fine a sé stessa, ma è anzi la strada migliore per empatizzare con le persone. Si parte da una profonda conoscenza delle caratteristiche e del contesto degli interlocutori e si arriva a raccontare una storia che li rappresenti, così da renderli più propensi all’ascolto, dato che l’attenzione viene attirata soprattutto attraverso elementi narrativi percepiti o riconosciuti come affini alla propria persona. 

La teoria del trasporto narrativo, proposta da Melanie C. Green e Timothy C. Brock e poi ampliata successivamente, spiega la forza e il potere persuasivo dello storytelling. Secondo gli autori, le storie sono in grado di innescare una serie di reazioni emotive e cognitive che portano a vivere la storia stessa proprio come un’esperienza reale, grazie a meccanismi come il neural coupling. 

Libro aperto con immagini e parole che prendono vita come metafora dello storytelling

Soprattutto nei contesti digitali, dove è molto complesso attirare l’attenzione degli utenti, è importante tenere a mente un principio base: il nostro cervello ha la tendenza a selezionare, tra tutte le informazioni che riceve, soltanto gli stimoli che considera più rilevanti, che spesso coincidono con informazioni che ci incuriosiscono o racconti nei quali ritroviamo qualcosa di noi stessi. 

In particolare, l’obiettivo è riuscire a creare un equilibrio quanto più bilanciato tra attrattività e riconoscimento del noto per incuriosire e, contemporaneamente, rassicurare. 

Ma non finisce qui, dopo aver ottenuto la piena attenzione dell’interlocutore è necessario che i contenuti testuali siano in grado di coinvolgerlo ed emozionarlo per rimanere impressi nella memoria. Suscitare emozioni non è un passaggio banale: agire sulla memorabilità può significare semplificare i processi decisionali futuri dei clienti e creare un legame duraturo tra persona e brand.  

La teoria elaborata da Daniel Kahneman, nota come Peak-end rule, afferma infatti che le persone giudicano le esperienze in base al loro picco e al loro termine, quindi non basandosi su una media complessiva dell’esperienza ma ricordando questi momenti estremi come rappresentativi dell’esperienza stessa. 

Conoscendo questo bias della memoria umana si comprende quindi l’importanza di raccontare storie in grado di emozionare affinché diventino memorabili.  

Tone of Voice come emozione e relazione

Il tono di voce scelto nella comunicazione verso un pubblico, e quindi nel racconto di storie, è un elemento fondamentale che viene però spesso sottovalutato.

Oltre ad essere un elemento distintivo e caratteristico, il Tone of Voice trasmette identità e valori restituendo una percezione umanizzata a chi legge o ascolta, aumentandone il grado di coinvolgimento. 

Le storie non veicolano emozioni solo grazie al loro contenuto, ma anche attraverso il modo in cui tali contenuti vengono espressi: nel content writing, il tono di voce scelto viene calibrato in base al target e al contesto, con l’obiettivo ultimo di creare connessioni emotive che potranno generare frame positivi o negativi. 

Il tono di voce è personalità pura e proprio grazie a questo riesce a creare un ponte con le persone, una relazione e un legame empatico che porranno le basi per un rapporto unico costruito sulla fiducia.

Parole, stile, ritmo, suggestioni: tutti elementi che devono essere curati nei minimi dettagli per creare un mix perfetto di riconoscibilità e vicinanza.

Bias cognitivi e comunicazione

I processi decisionali non sono lineari ma influenzati da esperienze, contesti, schemi mentali, giudizi e paure. 

Perciò per conoscere quali elementi funzionano meglio nella comunicazione, si rivela essenziale conoscere i bias cognitivi a cui costantemente siamo soggetti e che condizionano il nostro modo di processare le informazioni. 

Ad esempio, in base al cosiddetto effetto framing o “effetto cornice” sappiamo che la nostra valutazione degli eventi risulta influenzata dal modo in cui le informazioni ci vengono presentate: le decisioni verrebbero prese quindi a seconda di una preferenza spontanea riconducibile a come le opzioni vengono formulate, se in una prospettiva positiva o negativa. 

Oppure ancora, il caso dell’effetto priming dimostra come certi stimoli possano avere effetti potenti sul comportamento. In questo caso, si tratta di un meccanismo di memoria implicita e attivazione associativa, per cui una prima esposizione a certi stimoli, anche parole, attiverà in automatico risposte agli stimoli successivi. 

Anche solo attraverso questi due esempi si intuisce quindi il valore delle parole nella comunicazione e la loro influenza nel determinare aspettative, percezioni e infine decisioni. 

Buone pratiche di neurocopywriting

Alcune informazioni ottenute grazie alle analisi di neuromarketing o derivanti dalla conoscenza dei processi cognitivi, data la loro tendenza a ripetersi in numerosi contesti di marketing, si possono generalizzare e tradurre in linee guida da tenere presenti quando si sviluppano contenuti testuali di diversa natura. 

  • Scrivere contenuti persuasivi significa saper coinvolgere, emozionare e creare legami empatici: per farlo si parte sempre dalla profonda conoscenza del proprio interlocutore. 
  • Una comunicazione che mette in evidenza gli aspetti positivi è in grado di rassicurare, infondere fiducia e orientare positivamente le persone; ma anche una narrazione che fa leva sull’avversione alla perdita è in grado di essere persuasiva. 
  • L’ordine di presentazione delle informazioni influenza la percezione e il ricordo di una comunicazione: grazie all’effetto primacy e recency, le prime e le ultime informazioni comunicate sono anche quelle che vengono meglio ricordate. 
  • Dati i limiti della memoria a breve termine e della memoria di lavoro, le persone sono in grado di memorizzare e riflettere su un numero limitato di elementi che varia tra gli individui in un range di 7 ± 2. Per questo dare le informazioni essenziali, oltre che esprimersi con chiarezza nella scrittura, facilita la lettura e limita il carico cognitivo dell’utente.
  • Utilizzare un linguaggio sensoriale stimola il lettore sotto più punti di vista, coinvolgendolo in un percorso multisensoriale che completa l’esperienza del racconto caricandola di significati.
  • Le parole possono avere un forte potere evocativo che corrisponde all’attivazione di particolari aree del cervello e rispettive sensazioni, infatti l’utilizzo di aggettivi emozionali è utile quando sapientemente calibrato. Esistono parole che gli strumenti neuroscientifici hanno infatti individuato e classificato come più coinvolgenti, emotivamente neutre e più respingenti. 

Dalla teoria alla pratica: il caso dei neuro test con UnipolSai

Le applicazioni delle tecniche di neuromarketing sono potenzialmente infinite e possono valutare l’efficacia anche di qualsiasi stimolo di marketing e comunicazione commerciale. 

La trasversalità della disciplina si esplicita bene attraverso un esempio pratico: nello spot commerciale di Unipolsai Assicurazioni andato in onda sulle principali reti televisive italiane,in partnership con lo IULM Brain Lab abbiamo svolto un’analisi attraverso neuro test per ottimizzare lo storytelling e la narrativa della campagna. 

La ricerca ha incluso un’analisi neurofisiologica, che ha permesso di individuare in ogni secondo le principali reazioni emotive e l’attenzione visiva, e un’analisi razionale con un questionario che ha fornito insight riguardo la rievocazione dello spot e la comunicazione dell’offerta.

Dall’analisi sono emerse criticità e opportunità legate alle scene dello spot, ai banner informativi, al claim e al testimonial coinvolto. Questi risultati hanno permesso di veicolare diverse linee guida strategico-operative per ottimizzare lo storytelling del contenuto e aumentare l’efficacia complessiva dello spot verso l’audience televisiva.

A questo link trovi più informazioni sul case study.

Il futuro del copywriting

Se utilizzare le conoscenze neuroscientifiche per realizzare contenuti testuali sembra già futuristico, lo è ancora di più pensare che l’intelligenza artificiale è in grado di scriverli senza l’aiuto del copywriter. 

Si tratta di software che generano automaticamente contenuti utilizzando differenti algoritmi in base allo scopo di utilizzo e alla tipologia di formato. 

I vantaggi dell’AI sono molteplici, tra questi la sua rapidità e la sua capacità di facilitare la creazione di contenuti efficaci. Al tempo stesso la validità di questi tool non si traduce automaticamente in una totale sostituzione della essenziale figura del copywriter. 

Emotività, creatività e umanità di ciascun individuo sono difficilmente replicabili; e se è vero che oggi più che mai un testo deve essere autentico e avere personalità per creare un legame con chi lo legge, il lavoro umano è ancora prezioso. 

È possibile però anche distinguere i diversi tipi di contenuti e affidare all’intelligenza artificiale quelli ad esempio puramente informativi o descrittivi che non richiedono un’elevata componente di creatività e personalità. 

Quello che è certo è che tutte le nuove soluzioni di cui abbiamo discusso hanno un solo obiettivo comune: unirsi per rafforzarsi e rendere così sempre più efficace la scrittura di contenuti. 

future of copywriting

Fonti

Bibliografia

Libro: Daniel Kahneman – Pensieri lenti e veloci

Libro: Vincenzo Russo – Psicologia della comunicazione e del marketing 

Libro: Robert B. Cialdini – Le armi della persuasione